Giorgia Meloni – scrive Mario Sechi su Libero – andrà al seggio ma non ritirerà le schede dei referendum. È una delle opzioni a disposizione dell’elettore nella consultazione dell’8 e 9 giugno: esercito il mio diritto di andare a votare, ma sottolineo che nessuno dei quesiti merita il mio voto.
È un giudizio politico forte, più efficace della semplice astensione e non concorre alla formazione del quorum.
È una scelta che fanno anche gli esponenti della sinistra: i riformisti del Partito Democratico l’hanno messo nero su bianco in una lettera a Repubblica Giorgio Gori, Lorenzo Guerini, Marianna Madia, Pina Picierno, Lia Quartapelle e Filippo Sensi: “Voteremo sì al referendum sulla cittadinanza e sì al quesito sulle imprese appaltanti. Ma non voteremo gli altri 3 quesiti, perché la condizione del lavoro in Italia passa dal futuro, non da una sterile resa dei conti con il passato”.
Salvano il quorum, ma esprimono un totale dissenso su temi che non considerano degni di un sì o un no.
Tutto dimenticato.
La mossa della premier ha innescato la solita reazione scomposta della sinistra smemorata: è un attacco alle istituzioni, una truffa, “una ulteriore conferma, se mai ce ne fosse bisogno, del disegno di compressione degli spazi democratici”.
In un batter di ciglia sono giunti al ritornello del regime meloniano, del nuovo fascismo, del “disegno eversivo delle destre”.
È con questo linguaggio da notte della democrazia, con il fantasma del Duce a Palazzo Chigi, che il Pd e i suoi alleati fanno un’opposizione da invasione barbarica. Ogni giorno alzano il tiro, eccitano gli animi, usano la piazza in nome di una “lotta” che gli spiriti più bellicosi interpretano come un via libera a tutto, anche alle minacce di morte ai figli dei leader del centrodestra.
Il prossimo banco di prova lo avremo tra pochi giorni, il 7 giugno, con la manifestazione per Gaza fissata non casualmente alla vigilia del voto sul referendum.
È un escamotage per tenere alta non l’attenzione, ma la tensione.
Su Gaza si sta consumando una strumentalizzazione pericolosa. Siamo al ribaltamento delle responsabilità della guerra, mentre in gioco c’è l’esistenza di Israele, la memoria della strage del 7 ottobre e la minaccia contro gli ebrei in tutto il mondo.








