Tra il 2011 e il 2022 il livello medio di istruzione dei lavoratori italiani è aumentato in modo significativo, ma questo progresso non è stato accompagnato da un adeguamento della domanda di lavoro a un’offerta con qualifiche più elevate e, di conseguenza, da un’adeguata valorizzazione economica.
È quanto emerge dal monitor “Il mismatch di qualifiche nel mercato del lavoro italiano”, realizzato da Area Studi Legacoop in collaborazione con Prometeia, che analizza il disallineamento tra titoli di studio e richieste del sistema produttivo, mettendo in luce le distorsioni che ne derivano in termini salariali.
Nella nuova edizione della Survey of Adult Skills (Piaac) condotta dall’Ocse, emerge che, nel 2022, un lavoratore italiano ha in media 12,6 anni di istruzione, contro gli 11,3 del 2011. Un salto di oltre un anno, particolarmente marcato nei lavoratori della fascia d’età 35-44, che hanno allineato il proprio livello di istruzione con le fasce d’età più giovani.
Tuttavia, si è verificato uno squilibrio che ha portato a un incremento dei lavoratori sovraqualificati, passati dal 7,8% nel 2011 al 12,7% nel 2022, mentre i sottoqualificati sono scesi dall’11,3% all’8,1%.
Dunque, evidenzia la ricerca, il mercato del lavoro italiano è passato da una situazione in cui il livello di istruzione era mediamente adeguato alle mansioni svolte (nel 2011), a una fase di eccesso di istruzione pari in media a 0,8 anni (nel 2022).
I lavoratori, in particolare i più giovani, si ritrovano quindi a svolgere ruoli che non riflettono il proprio percorso formativo.
Nel primo trimestre del 2023, al picco dell’espansione del mercato del lavoro, il tasso di posti vacanti nei settori caratterizzati da surplus di istruzione era pari al 2,3%, mentre negli altri settori e nelle costruzioni era pari rispettivamente all’1,9% e all’1,7%.
Il mismatch ha impatti diretti sui salari. Nel settore industriale in senso stretto (manifattura, estrazione mineraria, fornitura di energia, fornitura di acqua) ogni anno di studio oltre il livello richiesto dal ruolo viene pagato in media solo il 67% di quanto vale un anno di istruzione addizionale perfettamente allineato.
L’istruzione extra è comunque remunerata, ma il suo rendimento marginale è più basso rispetto a quello dell’istruzione richiesta dalla posizione ricoperta.
Ancora più pesante l’effetto del deficit di istruzione: ogni anno di istruzione mancante rispetto al requisito si traduce in una vera e propria perdita monetaria, con un rendimento marginale che diventa negativo (-50%) per il lavoratore.
La sovraqualificazione è molto più diffusa tra i giovani. Nel 2022, la quota di sovraqualificati tra i 25-29enni era superiore di 7,3 punti percentuali rispetto a quella dei 60-65enni.
Questo dimostra come le nuove generazioni paghino il prezzo più alto del disallineamento: studiano di più, ma non trovano occupazioni adeguate alle proprie competenze.
A ciò si aggiunge il divario di genere. Sempre nel settore industriale in senso stretto, anche quando le donne hanno un’istruzione perfettamente adeguata al ruolo ricoperto, il loro salario è in media inferiore del 12% rispetto agli uomini.
Il divario sale al 23% nel caso di eccesso di istruzione e al 20% in caso di deficit.
In tutti i casi, le donne sono più svantaggiate, confermando una doppia penalizzazione: per genere e per mismatch.








