Analisi, scenari, inchieste, idee per costruire l'Italia del futuro

[L’analisi] La finanza stravolta più dal Covid che dalla guerra. Ecco come sono cambiati tutti i piani dei fondi di investimento

Il report sul venture capital e il Covid19 al Politecnico di Milano, ha evidenziato diversi mutamenti che hanno colpito l’economia globale nel corso dell’emergenza sanitaria. La pandemia, infatti, ha colpito duramente molti aspetti dell’economia globale, imponendo alle imprese di rimodellare i processi interni per non uscire dal mercato, così ha spinto i venture capitalist ad adattare al mutato scenario le proprie pratiche di investimento, ad esempio investendo in momenti più avanzati del ciclo di vita delle startup o privilegiando settori come la cura della salute, l’energia e l’ambiente, il farmaceutico e i servizi finanziari a scapito dei servizi digitali e della distribuzione commerciale.       

Il report è stato presentato durante il lancio del Bureau of entrepreneurial finance (Bef), un centro permanente voluto dalla School of management del Politecnico di Milano e dal Politecnico di Torino – co-fondato dai professori Massimo Colombo, Annalisa Croce, Elisa Ughetto e Vincenzo Butticè – che vuole mettere a confronto e in rete gli studiosi e i player più accreditati a livello europeo sul tema della finanza imprenditoriale.       

Cambiano le strategie di investimento

Al sondaggio, effettuato nella seconda metà del 2021, quindi nel pieno della ripresa economica post-Covid ma quando già cominciavano i rincari legati alle materie prime e all’energia, hanno risposto oltre 500 fondi, con un’ottima copertura di quelli europei (che hanno aumentato gli investimenti del 2%) e nordamericani (che invece li hanno diminuiti dell’1%). A livello globale, un fondo su due (52%) ha dichiarato di avere cambiato le proprie strategie di investimento dopo il Covid, anche solo moderatamente. Percentuale che risulta ben più bassa per i fondi europei (che non hanno modificato nulla nel 57% dei casi) e ancor di più (61,5%) per quelli italiani, probabilmente in ragione del fatto che tendono maggiormente a investire cross-border, cioè non nel Paese di appartenenza (il 90,2% di chi fa investimenti cross-border – in Italia l’83,5% – non li ha ridotti a favore di interventi domestici).

Cresce l’incertezza

Un altro aspetto interessante è la diminuzione del numero di investimenti in seed stage, e più in generale nelle fasi iniziali del ciclo di vita della startup, a favore di momenti di sviluppo più maturi (si va dal +1,2% dell’early e late stage al +4,4% nel mid stage), tendenza maggiormente evidente nei fondi più piccoli. «È aumentata ovunque l’incertezza e dunque gli investitori preferiscono traslare il focus di investimento verso imprese più mature e con un profilo di rischio più contenuto», spiega Elisa Ughetto del dipartimento di ingegneria gestionale e della produzione del Politecnico di Torino, tra i curatori dello studio e co-direttrice del Bef insieme ad Annalisa Croce del dipartimento di ingegneria gestionale del Politecnico di Milano.       

«Inoltre, sempre in risposta ai cambiamenti repentini di questi ultimi anni, gli investitori si fidano meno che in passato del loro istinto (gut feeling) e nelle decisioni si basano maggiormente su aspetti oggettivi, come l’ambiente economico favorevole, il business model, gli eventuali incentivi pubblici», continua Ughetto. «Sono anche cambiate le strategie di investimento» aggiunge Croce «ora si prediligono settori industriali che hanno avuto buone performance durante la pandemia, come l’healthcare e il farmaceutico, mentre risultano in calo settori tradizionalmente oggetto di ingenti investimenti da parte di fondi di venture capital come il settore ict».

Aumento degli investimenti in settori specifici

I settori che hanno visto aumentare gli investimenti sono la cura della salute (+2,4%), l’energia e l’ambiente, il farmaceutico e i servizi finanziari (tutti a +1%), la formazione e i semiconduttori (+0,6), mentre risultano in calo i servizi digitali (-1,4%), inclusi quelli legati a internet e mobile (-1%), e la distribuzione commerciale (-1,6%). I fondi hanno anche ridotto le proprie aspettative sui ritorni attesi (Irr) e sono diventati più severi, in termini di multiplo richiesto, nel valutare le startup.

In sostanza, si assumono un rischio inferiore a fronte di un ritorno atteso più basso (-1.3% in media): la fascia maggioritaria, pur in calo di due punti percentuali, rimane con un target Irr tra il 20 e il 29%, ma non manca, ed è in leggerissima crescita, chi si aspetta un guadagno tra il 40 e il 50%. Persino la valutazione delle startup già presenti in portafoglio ha subìto una rimodulazione: nel 40% dei casi si è ridotta (nel 9% anche in maniera significativa) poiché, nello scenario mutato, ci si attende una diminuzione del valore al momento dell’uscita del fondo. Un ultimo dato curioso: è aumentata di quasi un terzo (+28,4%) l’interazione dopo l’investimento fra venture capitalist e imprenditori, finalizzata a supportare la crescita della startup. Se prima ci si sentiva prevalentemente tra una e tre volte al mese, ora crescono i contatti settimanali o addirittura quotidiani.

SCARICA IL PDF DELL'ARTICOLO

[bws_pdfprint display=’pdf’]

Iscriviti alla Newsletter

Ricevi gli ultimi articoli di Riparte l’Italia via email. Puoi cancellarti in qualsiasi momento.

Questo sito utilizza i cookie per migliorare l'esperienza utente.