Il «Green Qe» darebbe un segnale importante ai mercati e una spinta al processo di riduzione della dipendenza europea dalle fonti fossili attenuando le pressioni di rialzo sui prezzi dell’energia e i loro effetti negativi sui costi delle aziende sul valore reale del reddito e della ricchezza dei cittadini europei.
È la proposta dell’economista Leonardo Becchetti, professore ordinario di Economia politica presso l’Università di Roma Tor Vergata.
Sarebbe un tassello potente e importante nella lotta contro l’emergenza climatica dove dobbiamo accelerare prima che sia troppo tardi.
“La Bce ha utilizzato sinora la sola medicina dell’aumento dei tassi annunciando prossimi incrementi di 50 punti fino al momento in cui l’inflazione tornerà al 2%. E un po’ come il vecchio dottore di campagna di tanti anni fa, che ha nel suo studio solo pastiglie per la gola e per curare un paziente affetto da influenza gli prescrive di prendere tante pastiglie per la gola fino a quando l’influenza non sarà passata – spiega l’economista al quotidiano Avvenire – Alcuni commentatori obiettano che la Bce non pub far altro perché il suo compito statutario ne limita la capacità di azione. Non è proprio così, perché la Bce pub dire e fare altrimenti”.
“Bolletta del gas e carburanti più cari, inflazione che erode reddito e risparmi degli italiani aumentando il rischio povertà… e un inverno straordinariamente caldo che da una parte stimola spensierati bagni natalizi in alcune spiagge del Mezzogiorno e dall’altra spinge alla mobilitazione almeno una parte dei nostri giovani che protestano contro il progressivo peggioramento della situazione climatica. C’è qualcosa che si pub fare e che fa fare contemporaneamente progressi in entrambe le direzioni, contenere il carovita e affrontare l’emergenza ambientale?” Sì interroga Becchetti.
“Probabilmente si e il segnale potrebbe partire da un cambio di rotta della Banca Centrale Europea. Le politiche di quantitative easing della Bce avviate dal 2015 hanno progressivamente aumentato la quota di titoli di Stato dei Paesi membri posseduta dalla Banca Centrale, allentando sui mercati finanziari i rischi di pressione e di crisi in momenti molto difficili. L’ingente afflusso di liquidità sul mercato prodotto dagli acquisti della Bce non ha avuto per moltissimo tempo nessun effetto sull’inflazione. Nel 2019 i prezzi dell’energia erano in calo e l’inflazione sotto il livello target del 2%. Con le strozzature nella logistica nel periodo della pandemia e la successiva ripresa economica post-lockdown i prezzi dell’energia hanno iniziato a salire e con l’approssimarsi del rischio di conflitto bellico in Ucraina (già prima dell’invasione russa) la crescita dei prezzi dell’energia si è fatta molto più pronunciata. I dati di oggi sono ben noti”.
“Nessun dubbio sul fatto che non siamo di fronte a un’inflazione da domanda ma a un’inflazione da costi, che richiede medicine nuove e originali. L’estate scorsa l’amministrazione Usa di Ice Biden ha lanciato un massiccio piano di incentivazione alla transizione ecologica che ha chiamato non a caso Inflation Reduction Act”.
Se il dottore non ha nel suo studio un fannaco può consigliare al paziente dove andare per prendere quello giusto e sollecitare chi può garantire quelle cure. Così è da sempre, anche quando la Bce ricorda che non è possibile attraverso le misure tradizionali di politica monetaria centrare tutti gli obiettivi di politica economica e sollecita, perciò, gli Stati membri a intervenire utilizzando le politiche fiscali. Allo stesso modo, in questo momento la Bce potrebbe però dire con più chiarezza che questa inflazione si cura intervenendo sul tallone d’Achille della Ue che è la dipendenza da Paesi terzi per le fonti fossili e accelerando la transizione verso le rinnovabili. Sarebbe proprio il caso che dopo la crisi petrolifera novecentesca di fine anni 70 e quella del gas di oggi capissimo che dobbiamo liberarci di questo enorme fattore di dipendenza e di rischio, sapendo che oggi possiamo farlo perché il progresso delle fonti alternative ha camminato moltissimo. Qualcuno ha affermato che sarebbe proprio la transizione ecologica una delle responsabili dell’inflazione. Evero esattamente il contrario, perché è la lentezza di una transizione annunciata ma non realizzata che può diventare un’ulteriore fonte di dinamiche inflazionistiche.
Se infatti si preannuncia uno scenario di uscita prossima dalle fonti fossili e poi non lo si realizza tempestivamente l’effetto può essere quello di imprese del settore che rallentano o bloccano gli investimenti nell’offerta delle fonti fossili in presenza di una domanda di fonti fossili che non diminuisce perché la transizione è solo annunciata e realizzata troppo lentamente. E questo inevitabilmente fa salire i prezzi” conclude.








