Mezzo milione di posti di lavoro saltati, un terzo delle imprese con l’acqua alla gola, l’8 per cento di fatturato in meno,ma solo se tutto, d’ora in poi, andrà bene.
Una sorta di buco nero in cui l’Italia è caduta nell’anno del virus e da cui sta iniziando a riprendersi solo da qualche settimana.
Per fare i conti del prezzo che l’economia ha pagato alla pandemia è ancora presto, ma, incrociando i dati di Istat e Bankitalia, si cominciano a delineare i contorni dei mesi terribili della prima metà del 2020.
E, per dirla tutta in una frase, poteva andare anche peggio.
A prima vista, i dati dicono il contrario. Dall’inizio della pandemia, dunque fra febbraio e giugno, certifica l’Istat, sono svaniti 500 mila posti di lavoro.
Un pedaggio che rispecchia le difficoltà di aziende traballanti.
Per il brusco inaridimento della domanda, causa lockdown e quarantena dei consumatori, o per lo svuotamento della casse aziendali, prosciugate dall’interruzione della catena dei pagamenti?
Istat e Banca d’Italia danno, in proposito, interpretazioni opposte: crisi di liquidità, prima che della domanda, secondo l’istituto di statistica; carenza di domanda, più che difficoltà finanziarie, secondo Via Nazionale.
Il risultato, tuttavia, non cambia. Nel mondo delle imprese, sono in tanti a rischiare grosso: una impresa su tre teme di non avere fondi in cassa per arrivare a fine anno. Inevitabile, quando, nei mesi appena passati, tre aziende su quattro hanno visto il fatturato ridursi del 50 per cento.
Tuttavia, non bisogna confondere gli alberi con la foresta. In un sistema imprenditoriale molto frammentato, come quello italiano, con uno sterminato spolverio di aziende piccole e piccolissime, il numero delle imprese non può essere l’unico parametro per giudicare lo stato dell’economia.
L’Istat ci dice che il 43,8 per cento delle aziende italiane è stata completamente chiusa dal lockdown e ha riaperto i battenti solo il 4 maggio, dopo due mesi di assoluta paralisi.
Ma quel massiccio elenco di imprese rappresenta poco più di un quarto dell’occupazione e appena un quinto del valore aggiunto del paese, cioè della sua produzione effettiva.
Nel mondo delle imprese medio-grandi, in particolare sopra i 200 addetti, l’attività ha attraversato la quarantena quasi senza pause: metà dei lavoratori italiani ha continuato a lavorarenormalmente, sfornando metà del valore aggiunto nazionale.
La paralisi, insomma, non è stata totale. Brutale, però, sì: nei primi sei mesi, rispetto ad un anno prima, il fatturato si è ridotto di oltre un quarto. Per fortuna, hanno funzionato gli ammortizzatori sociali, che hanno impedito che la crisi venisse avvertita in tutta la sua brutalità.
Bankitalia calcola, che, se non ci saranno nuovi tracolli, il fatturato nazionale 2020 diminuirà dell’8 per cento. L’occupazione, invece, solo del 2 per cento.
A colmare il gap, è il ricorso di massa alla cassa integrazione. L’effetto è, tuttavia,quello di mettere l’economia in uno stato di animazione sospesa: in autunno, l’occupazione dovrà alla fine fare i conti con il restringersi dell’economia.
Tanto più che la pandemia ha aggravato una situazione già difficile: siamo arrivati al virus con le ginocchia già deboli e questo renderà più difficile rialzarsi.
Basta un dato a spiegarlo: nel 2020, il fatturato diminuirà dell’8 per cento rispetto ad un 2019, che già aveva visto aumento zero sul 2018.
Siamo arrivati alla crisi, insomma, già in frenata. Il calvario, tuttavia, non sarà uguale per tutti: la Grande Crisi Covidsarà pagata soprattutto dal Sud e da tutto ciò che non è industria, a meno che non sia tessile.
A livello complessivo, infatti, Bankitalia calcola che l’occupazione industriale, quest’anno, si ridurrà solo dello 0,1 per cento, mentre quelle dei servizi non finanziari scenderà del 2,3 per cento.
Questo, nonostante che il fatturato industriale si riduca del 6,9 per cento, mentre quello dei servizi poco di più, al 7,4 per cento.
Incidono gli andamenti di specifici settori: commercio, bar e hotel, fra i servizi, perdono l’8 per cento, mentre l’industria più legata ai consumi voluttuari (abbigliamento) registra una caduta del 12 per cento.
A pagare di più è sistematicamente il Mezzogiorno.
Secondo le stime di Via Nazionale, in tutti e tre i parametri esaminati si ripete lo stesso schema: il Nord Est (un po’ a sorpresa) va peggio del Nord Ovest, il Centro peggio del Nord Ovest, Sud e Isole peggio del Centro.
Nel caso dell’occupazione, si va da un calo dello 0,4 per cento dei posti di lavoro in Piemonte e Lombardia al meno 3,3 per cento del Mezzogiorno.
Sotto la voce fatturato, il Nord Ovest nel 2020 arretra di quasi il 6 per cento, mentre il Sud sfiora il meno 10 per cento.
La voce investimenti è la più drammatica: meno 6 per cento a Nord Ovest, meno 17 per cento nel Mezzogiorno.
 
								 
				 
								 
								 
								 
								








