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Lagarde ascolta solo i falchi del Nord | Lo scenario

Presto potrebbe essere deciso dal consiglio Bce un nuovo aumento dei tassi d’interesse di mezzo punto, acuendo le divisioni all’interno del parlamentino di Francoforte. Da una parte i falchi del Nord, dall’altra le colombe del Sud, anche se sono soprattutto i primi a fare la voce grossa nel gioco delle pressioni al rialzo. In genere lo schema è questo. Interviene per primo il governatore olandese Klaas Knot, seguono quello austriaco Robert Holzmann e il belga Pierre Wunsch, chiude il tedesco Joachim Nagel.

Infine, Christine Lagarde ci mette per così dire il timbro. Le voci dei moderati sono quelle degli italiani Fabio Panetta e Ignazio Visco e degli spagnoli ma sono flebili e poco ascoltate dal presidente. Impressionano due fatti in questo teatrino. Il primo è la cacofonia di voci quando invece dovrebbe essere la presidente a dettare la linea. Il secondo fatto è come Lagarde si sottragga alla ricerca di un punto di equilibrio tra le posizioni dei moderati e dei falchi in uno sforzo di sintesi che le spetterebbe. Una banca centrale può aumentare o diminuire i tassi di riferimento, stringere o allentare i freni, ma c’è modo e modo di farlo.

La Bce di Lagarde ci ha abituato all’improvvisazione e a un uso disinvolto della parola (basta ricordare il clamoroso flop della prima uscita sugli spread nel 2019), ma i mercati che poi traducono nelle conseguenze volute le decisioni della Banca non amano l’incertezza. Ai tempi di Mario Draghi la forward guidance, ovvero l’orientamento delle aspettative dei mercati offrendo indicazioni prospettiche di massima sull’andamento dei tassi, era uno strumento chiave della politica monetaria della Bce nelle mani del presidente. In tal modo Draghi preparava gli operatori alle prossime mosse. Lagarde l’ha di fatto abolita.

È vero, allora c’era la deflazione, oggi l’inflazione. Ma ciò non basta a giustificare la ridda di prese di posizione che precede i consigli in un crescendo di pressioni al rialzo. Nello speech dell’aprile 2022 Lagarde ha definito così il suo metodo: «La nostra politica monetaria dipenderà di volta in volta dai dati e dall’evolversi della nostra valutazione delle prospettive», ovvero navigazione a vista e scarsa fiducia nelle previsioni del suo ufficio studi.

Dai corridoi del grattacielo della Bce filtrano ora notizie di crescenti divisioni nel Consiglio, che nell’ultima riunione avrebbe registrato 6-7 voti contrari all’aumento. I moderati osservano che nell’inflazione da costi tipica dell’Europa non sono la domanda né i salari a giocare un ruolo chiave ma l’aumento dei profitti e dunque non è la politica monetaria ma piuttosto quella fiscale dei governi a poter incidere. Ma il percorso verso l’aumento del 4 maggio sta ripetendo il copione di sempre. Knot, Holzmann, Wunsch e Nagel si sono pronunciati per mezzo punto. Intervenendo al Politecnico di Parigi Lagarde ha tagliato la testa al toro e si è allineata: «Il problema è semplice; abbiamo un’inflazione troppo alta da troppo tempo. C’è ancora molto da fare».

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