Un risultato certo Donald Trump l’ha ottenuto, sottolinea sul Corriere della Sera Carlo Verdelli.
E non è, come aveva baldanzosamente promesso, quello di far finire in un paio di giorni le due più importanti guerre in corso.
No, il secondo Trump non passerà alla Storia come un risolutore di conflitti ma può già con legittimità intestarsi un altro tipo di svolta, dagli esiti al momento imprevedibili: la frantumazione dell’Europa, il vecchio continente delle democrazie, e la sua conseguente perdita di centralità in qualsiasi scelta internazionale.
Come un conquistatore che intuisce le debolezze di un’Unione tenuta insieme soltanto da una moneta e da valori sempre meno condivisi, il padrone della Casa Bianca, perché è da padrone che si atteggia e si comporta, Donald Trump ha cominciato a fiaccare la Ue con una raffica di colpi che hanno lasciato segni evidenti e a cui non è stata data alcun tipo di risposta che segnasse un confine non valicabile.
Elencando su questo giornale alcune delle vittorie già ottenute nei nostri confronti, dall’ostacolare le misure di Bruxelles contro gli abusi dei colossi della Silicon Valley al sabotaggio della Global Minimum Tax (G20, 2021) per frenare l’elusione fiscale delle multinazionali, Federico Fubini ha centrato il punto: non trovando reazioni significative alle sue incursioni, Trump avanza e con ogni probabilità raddoppierà, triplicherà.
La strategia di pacificarlo assecondandolo non sta funzionando.
Se non si avverte la portata dell’allarme, se si continua a procedere in ordine sparso di fronte a un’offensiva che mira a disunire l’Unione, l’Europa si condannerà a tornare ad essere un’espressione geografica.
Il rischio della sottomissione è già dentro i nostri confini, a divorare veloce un’eredità e una grandezza economica e anche politica che meriterebbero altra dignità di tutela, molto di più del 5 per cento che ci viene richiesto per difenderci dall’arrivo dei tartari.








