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La tregua e la fiducia che manca | L’analisi di Giuseppe Sarcina

Donald Trump cerca sponde per il suo piano per Gaza. Ma nel Medio Oriente – commenta Giuseppe Sarcina sul Corriere della Sera – continua a scarseggiare la materia prima fondamentale per costruire un qualsiasi percorso di pace: la fiducia tra le parti, almeno quel minimo indispensabile per iniziare a trattare seriamente.

Il problema numero uno resta Hamas. L’organizzazione terroristica si è impegnata a cedere le armi e a non partecipare al governo politico della Striscia. Ma la convinzione diffusa tra i diplomatici arabi e occidentali è che i miliziani svuoteranno solo in parte i propri arsenali e cercheranno comunque di occupare un ruolo importante nella struttura di governo. Altrimenti non si spiegherebbe perché stiano procedendo a rastrellare e assassinare i loro nemici, tutti palestinesi, tra le macerie di Gaza.

Trump ha già minacciato ripetutamente l’intervento dell’America per disarmare Hamas, ma senza spiegare come e quando, visto che, nello stesso tempo, ha precisato che non manderà i marines a riportare l’ordine. Intanto il presidente americano non sta incoraggiando la trasformazione e la crescita politica dell’Autorità Palestinese, guidata da Abu Mazen e da un gruppo dirigente che inizia vagamente a prendere forma.

Lo scenario si sta complicando anche sul versante dei Paesi arabi. Il Pentagono sta cercando di formare il nucleo dei Paesi disposti a partecipare alla «forza di stabilizzazione» a Gaza. Finora, però, il giro delle consultazioni non ha dato i risultati attesi. Ci risulta che solo tre Paesi, Azerbaigian, Indonesia e Pakistan, siano disponibili a inviare subito militari, senza porre particolari condizioni.

Trump, però, conta soprattutto su Egitto, Turchia e Qatar. Senonché i leader di questi Stati, cioè Al-Sisi, Erdogan e Al Thani, hanno fatto sapere alla Casa Bianca che si muoveranno solo se la missione sarà coperta da un mandato dell’Onu.

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