Il filo sottile della nostra speranza – commenta Paolo Gentiloni su Repubblica – è aggrappato ai colloqui previsti in Egitto. Se la prospettiva di una pace stabile appare al momento lontana, un cessate il fuoco sarebbe già una benedizione per la martoriata popolazione di Gaza: seppellire i morti, curare i feriti, dare riparo agli sfollati, nutrire gli affamati. E lo sarebbe per gli ostaggi prigionieri di Hamas e le loro famiglie che in queste ore dicono: non possiamo impedirci di sperare.
Un vero cessate il fuoco sarebbe anche il primo stop a Netanyahu. La conseguenza di quel crescente isolamento di cui ha parlato lo stesso Trump annunciando il suo piano. In fondo era questo isolamento l’obiettivo politico dell’onda di indignazione per l’abominio a Gaza, onda alimentata qui in Italia anche dai riflettori accesi dalla Flotilla. Per quanto significative, sappiamo tuttavia che non sono state le nostre piazze né le iniziative diplomatiche di alcuni Paesi europei a imporre uno stop al governo israeliano. È stato Donald Trump, con il sostegno dei Paesi arabi e in particolare di quelli del Golfo esasperati soprattutto dal bombardamento aereo della capitale del Qatar e dalle ripetute minacce di occupazione della Cisgiordania.
L’equilibrio è naturalmente fragilissimo, le fasi successive del piano di pace sono avvolte nella nebbia e i colloqui “indiretti” dei mediatori al lavoro in Egitto potrebbero naufragare in qualsiasi momento. Ma che cosa ha spinto Trump a imporre a Netanyahu di prendere in considerazione almeno un cessate il fuoco, costringendolo a fermarsi dopo che due mesi fa aveva deciso di occupare Gaza City superando le resistenze dei suoi stessi generali?
Certo, i sondaggi, che negli Stati Uniti per la prima volta vedono i critici di Israele più numerosi dei suoi sostenitori. Ma in altri casi Trump li ignora i sondaggi. Certo, la voglia di un Nobel per la Pace. Al fondo, però, il fattore di gran lunga decisivo va individuato nell’impronta isolazionista del progetto di America First. La pace imperiale, ben descritta ieri da Ezio Mauro, è il disegno di un impero autocentrato. Della volontà di dominare il pianeta, ma da remoto. A colpi di tweet esecutivi. Un impero che utilizza soprattutto lo strapotere dei giganti dei dati, padroni degli algoritmi e dell’intelligenza artificiale.








