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La riforma della giustizia è al rush finale | L’analisi di Michele Ainis

Su Repubblica Michele Ainis si occupa della riforma della giustizia, approvata dalla Camera il 16 gennaio scorso in prima lettura.

Oggi in Senato – scrive – andrà in scena il rush finale, dopo aver sterilizzato i 1300 emendamenti scritti dalle minoranze attraverso la tecnica del «canguro», altra creatura fantasmatica.

Servirà poi la seconda lettura di ambedue le Camere, ma anche questo è un esito scontato.

Da qui la nuova pelle del testo costituzionale, con 7 articoli che cambiano registro.

Ma da qui, anche e soprattutto, un bel trappolone per gli avversari dell’esecutivo.

Perché questi ultimi, ostacolando la riforma, si trovano a vestire l’abito dei conservatori, sono costretti — loro malgrado — a difendere il sistema giudiziario così come funziona adesso, o meglio non funziona.

Perché il restyling della giustizia distoglie l’attenzione dal naufragio sul quale è incappato il premierato, trasformando l’insuccesso in un successo.

E perché, alla fine della giostra, ci attende un referendum.

Lo vincerà il governo, un risultato diverso sarebbe una sorpresa.

Intanto, nel referendum costituzionale non c’è il quorum, sicché l’opposizione non può restituire la pariglia rispetto ai referendum sulla cittadinanza e sul lavoro dei primi di giugno, cavalcando l’astensione.

E in secondo luogo l’oggetto di quel referendum non saranno i poteri del Premier, non sarà il faccione di Giorgia Meloni, che oggi piace e magari domani non piace.

No, sarà il consenso verso il potere giudiziario, che da tempo vola rasoterra: ne ha fiducia soltanto il 39% degli italiani, attesta un sondaggio Tecnè diffuso a febbraio.

E il 68% degli intervistati voterebbe a favore di questa riforma, dichiara il medesimo sondaggio.

Conclusione: il governo Meloni s’accinge a incassare il suo bottino.

Regolando i conti con la magistratura, e mettendo all’angolo il Pd, insieme ai suoi alleati.

Ma in questo scenario c’è una responsabilità delle stesse opposizioni.

Avrebbero dovuto scegliere una strategia diversa dal muro contro muro.

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