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La partita dei dazi finisce quindici a zero | Le analisi

Alessandro Sallusti sul Giornale critica la sinistra che, a suo dire, sbaglia bersaglio nella vicenda dazi: “A nessuno – scrive il direttore – piace subire dei dazi, ma nessuno ha il potere di evitarli, posto che qualcuno si è intestardito a metterli. Quel qualcuno si chiama Donald Trump, come noto non l’hanno scelto i cittadini europei, e tantomeno, quindi, quelli italiani. Dei dazi ne hanno dovuto prendere atto, quindi subirli, praticamente tutti i Paesi del mondo, di qualsiasi forza, dimensione e colore politico dei loro governi. Ci sarà un motivo se nessuno, dico nessuno, ha risposto sparando ad alzo zero contro l’America e se tutti, nessuno escluso, hanno provato a trattare per limitare i danni così da poter almeno dire di aver trasformato un bicchiere più che mezzo vuoto in un bicchiere almeno mezzo pieno. L’ Europa, come sappiamo, non ha fatto eccezione, ogni Paese membro, Italia compresa, dietro le quinte ha fatto ciò che poteva per salvaguardare i propri interessi, ma alla fine la decisione è stata centralizzata a Bruxelles, ci mancava solo che, oltre la stangata americana, arrivasse pure l’implosione europea. Le cose sono andate esattamente cosi, e se il risultato è modesto lo si deve – oltre alla follia di Trump – alla debolezza strutturale dell’Unione, figlia di anni di politiche e scelte scellerate e alla mediocrità del suo governo. Per questo – sottolinea Sallusti – è davvero incredibile che la sinistra italiana, che di quell’avventura e dell’attuale governo è membro effettivo, oggi se la prenda con Giorgia Meloni, «zerbino di Trump», il cui partito a Bruxelles non ha votato, a differenza del Pd, la fiducia a Ursula von der Leyen, come del resto ha fatto la Lega. Se la Schlein è insoddisfatta dell’accordo raggiunto con Trump ha una sola cosa da fare: telefonare ai suoi parlamentari europei e ordinargli di presentare una mozione di sfiducia nei confronti del loro governo europeo perché i dazi Trump non li ha messi all’Italia bensì all’Europa guidata da una coalizione di centrosinistra, purtroppo non dai conservatori. Insomma, il Pd sbaglia governo e sbaglia donna, ma più che di un errore si tratta di una mistificazione, di un fallo di frustrazione. E tra i tanti dazi che ci tocca pagare – conclude – quello delle bugie diffuse dalla sinistra non sarà il più oneroso ma è certamente il più stupido e fastidioso”.

Flavia Perina, La Stampa

Flavia Perina sulla Stampa stigmatizza l’atteggiamento italiano di accondiscendenza relativo all’accordo Usa-Ue sui dazi. “Fatta l’intesa – scrive l’editorialista – bisognerà difendere l’indifendibile e trasformare nel racconto di un eroico pareggio l’umiliazione continua degli ultimi sei mesi culminata nell’intesa di Turnberry, Scozia. L’indifendibile è ovviamente Donald Trump, il Paparino, il meme vivente vestito da Giulio Cesare, da Papa, da Superman, che abbiamo accarezzato dicendo: «Quello che dice non è detto che lo faccia», molto rumore per nulla, alla fine non volterà le spalle agli alleati di sempre. E invece. La partita dei dazi finisce quindici a zero, con numeri mostruosi di contorno. Acquisti di petrolio e gas dagli Usa per 750 miliardi di dollari, investimenti garantiti in America per altri 650 miliardi da parte della nostra industria, una ‘tassa sull’amicizia’ così enorme da rendere increduli sulla sua effettiva applicazione. Poi, pure la beffa perché nelle dichiarazioni seguite all’incontro con Ursula von der Leyen il Paparino prometterà di essere gentile con i Paesi che non hanno trattato accordi: pagheranno tariffe del 15 o del 20. Insomma – osserva Perina – abbiamo negoziato per mesi per ottenere un risultato poco distante o forse identico di chi al tavolo non si è neanche seduto. Difendere l’indifendibile è un problema alquanto italiano, gli altri non provano nemmeno a nascondere la delusione o addirittura l’allarme per le conclusioni di questa difficile partita, che si somma alle onerosissime intese sulla difesa continentale. Si capisce l’intento, la reazione difensiva – troncare, sopire – perché è chiaro lo choc dopo un accordo che rende manifesta la nuova realtà delle relazioni atlantiche. Non ci sono più partner, per Washington, ma solo potenze concorrenti e piccole potenze da mettere in riga sui commerci, sulla difesa, su tutto. Si comincia a comprendere la portata della narrazione Maga sull’Europa parassita, che il centrodestra aveva derubricato a posizione da comizio ma era tutt’altro: la base ideologica della cancellazione di una partnership privilegiata. È un trauma – conclude Perina – scoprire che Trump non è un ‘Taco’, un cultore dell’esagerazione che però fa sempre marcia indietro, né un amico capriccioso ma alla fin fine ragionevole e manovrabile”.
 
 
Stefano Folli, la Repubblica
“A destra la confusione è notevole. Salvini ne ricava un’altra lezione su quanto sia inutile l’Ue: lascia intendere che se avessimo trattato da soli, in via bilaterale come il Regno Unito, avremmo spuntato accordi migliori. Niente di nuovo”. Così Stefano Folli su Repubblica descrivendo le reazioni del panorama politico italiano e non all’accordo Usa-Ue sui dazi: “Più attenta alle complessità del giorno dopo è la posizione della premier, a cui si aggrega il ministro degli Esteri Tajani. A palazzo Chigi si ritiene che l’intesa in Scozia poteva andare peggio e che molto c’è da fare per verificarla in tutti i dettagli. In altre parole, la percentuale del 15 per cento deve essere valutata se aggiuntiva o sostitutiva rispetto a precedenti balzelli. I vari ministri e gli esperti hanno un lungo lavoro da fare, insieme agli imprenditori, per capire dove intervenire per riaffermare un po’ dell’interesse italiano che la veloce trattativa Trump-von der Leyen ha sacrificato. Questo è un aspetto, peraltro molto rilevante, in cui il giudizio di merito sull’intesa precede la valutazione politica generale. Ma è chiaro che il governo di Roma non ha abbandonato la linea prudente, per cui lo sforzo consiste ancora nel salvare il salvabile, sfruttando i prossimi giorni e le settimane a venire. Più che di ottimismo – osserva Folli – si tratta di realismo in una situazione logicamente difficile. Chi attacca von der Leyen con toni assai aspri sono i partiti di opposizione: da Calenda a Renzi, ma soprattutto Elly Schlein, Conte e gli altri. Qui il tema è il cedimento europeo di fronte all’arroganza americana. Ed è curioso il paradosso che si è creato. A destra, a parte la Lega, Giorgia Meloni, che non fa parte della maggioranza, evita di assestare il colpo di grazia a una presidenza europea già gravemente indebolita. A sinistra invece si chiedono le dimissioni o comunque si considera esaurito il ciclo della baronessa tedesca. Certo, il rischio politico della vicenda, forse addirittura la certezza, è una crescente distanza fra le due sponde dell’Atlantico. Con evidenti riflessi sui problemi aperti, a cominciare dalla guerra in Ucraina e dal rapporto con Mosca di quel che resta dell’Unione. Forse – conclude – nell’Europa in crisi sta cominciando la stagione di Merz, espressione dei nuovi equilibri che mettono radici nelle capitali e a Bruxelles”.


 

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