Il mondo della democrazia e del diritto è sconvolto dalla notizia della morte di Alexey Navalny giunta improvvisa dallo sperduto carcere dell’estremo artico russo, in cui era stato relegato dal 2021. Uno scarno comunicato delle autorità russe informa che il decesso è avvenuto probabilmente per embolia e che una commissione è stata istituita per verificarne le cause. Immediate e unanimi le reazioni di numerosi leader del mondo occidentale che attribuiscono a Putin la responsabilità della morte del suo principale oppositore, sottoposto per anni a carcere duro in condizioni disumane, torture, isolamento prolungato ogni oltre limite e maltrattamenti di vario genere . Non mancheranno adesso le congetture sulla sua scomparsa.
La tesi prevalente è che Putin abbia voluto eliminare in questo momento un personaggio scomodo che avrebbe potuto infastidire la sua campagna elettorale gettando ombre sulla sua gestione attraverso il dissenso sotterraneo. In realtà in un Paese normale la scomparsa sospetta di un oppositore potrebbe arrecare al potere più danni che vantaggi, provocando indignazione e rinfocolando le forze di opposizione. Ma sappiamo bene che le logiche del Cremlino seguono percorsi tortuosi e brutali, incompatibili con le linee di ragionamento politico alle quali siamo abituati. In ogni caso sia che si tratti di cause oggettive o provocate, siamo in presenza di una morte annunciata secondo il modello seguito da Putin per tutti i suoi oppositori.
Probabilmente non sapremo mai come sono andate davvero le cose in quel remoto penitenziario artico. C’è solo da augurarsi che la indomabile opposizione di Navalny al regime culminata con il sacrificio estremo della vita, faccia germogliare nella società russa quegli aneliti di libertà e giustizia per i quali si è sempre battuto.








