Il 30 giugno, evidenzia sulla Stampa Andrea Gavosto, l’Italia ha mancato per la prima volta un traguardo ufficiale del Pnrr concordato con l’Europa, non riuscendo a raggiungere tutti gli obiettivi del semestre.
Fra questi, uno molto rilevante per l’istruzione: l’assegnazione dei lavori per la costruzione di nidi e asili.
Altri interventi per la scuola stanno slittando: nell’edilizia, nella digitalizzazione, nel contrasto ai divari territoriali.
Non meno gravi sono i ritardi nelle riforme: non ha infatti senso investire 17 miliardi in un sistema scolastico che da tempo non funziona adeguatamente.
Quindi la Commissione europea ci dice, a ragione: prima le riforme, poi i soldi degli investimenti.
Fra le riforme dell’istruzione la più importante è quella che dovrebbe radicalmente cambiare il modo in cui si formano e vanno in cattedra i docenti delle scuole secondarie.
Quando nel 2022 il governo Draghi varò la riforma della formazione e dell’abilitazione dei docenti delle secondarie (Legge 79) sembrò un progresso: chi vuole insegnare alle medie e alle superiori alla laurea magistrale deve aggiungere un altro anno di corso universitario nel quale apprende a insegnare, con tirocini pratici in classi reali.
Dopo 13 mesi, la riforma è ancora al palo, per mancanza del decreto che deve definire modi e contenuti dell’anno di formazione.
Ora il decreto è in arrivo, ma lascia l’amaro in bocca.
A leggere il testo che circola, il decreto annacqua la riforma.
Nessuna uniformità a livello nazionale, poco rigore nei corsi, crediti abbuonati un tanto al chilo e porte aperte alle università telematiche.
Infine, con buona pace dell’Ue che entro il 2024 vuole 70 mila assunzioni di docenti formati con il nuovo modello, i tempi previsti per metterlo a regime difficilmente saranno rispettati.
In un vuoto non casuale, questo e probabilmente anche il prossimo anno si continuerà ad assumere insegnanti con sanatorie o comunque concorsi ad hoc pensati per i docenti precari a danno dei giovani neolaureati.








