Il Sud incide sul Pil per il 22,1%, con una popolazione pari al 33,7% del totale nazionale. «Il suo valore aggiunto per occupato è di un terzo più basso della media nazionale. Il reddito pro-capite è di poco superiore alla metà del Centro-Nord. Ogni anno 134 mila persone lasciano il Sud, dopo essersi formate, per cercare un lavoro che non riescono a trovare nella loro terra d’origine».
«Il tasso di disoccupazione meridionale è infatti del 14,3%, il doppio del Centro e il triplo del Nord-Est». Lo ha detto il presidente dell’Unione industriali di Napoli, Costanzo Jannotti Pecci, introducendo i lavori del convegno sul tema “L’Europa e lo sviluppo del Mezzogiorno. Banche, imprese e istituzioni” che si è svolto a Napoli e che ha visto tra i relatori il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli; quello della fondazione Ugo la La Malfa, Giorgio La Malfa, di Alessandra Proto, direttrice del centro Ocse di Trento e di Elena Grech, vicecapo della rappresentanza in Italia della Commissione Europea.
«Mancano poco più di tre anni alla fine del 2026, anno entro il quale occorre realizzare gli interventi definiti dal Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Tra i suoi principali obiettivi c’è la riduzione delle diseguaglianze, territoriali in primis. Ed è proprio per gli indicatori sfavorevoli del Sud che l’Italia ha potuto fruire dall’Unione Europea di risorse considerevolmente superiori rispetto agli altri Paesi membri», ha aggiunto Jannotti Pecci.








