Un nuovo patto sociale? Sono ormai quasi 30 anni che si sogna di tornare ad avere un patto sociale come quello raggiunto prima da Giuliano Amato e poi da Carlo Azeglio Ciampi nei governi dell’epoca di Tangentopoli. La visita di Draghi all’assemblea di Confindustria ha riacceso le speranze che imprese e sindacati si siedano a un tavolo per siglare una pace. Certo, l’assenza di conflitti può favorire i processi di riforma e la crescita economica, ma un patto sociale non è una dichiarazione di pace, bensì è un accordo dove le parti si scambiano qualcosa. Negli anni ‘90 scambiammo la fine della scala mobile con un nuovo sistema di contrattazione, ciò che consentì la caduta dell’inflazione e la ripresa dell’economia.
Qual è lo scambio necessario e possibile oggi? Difficile da trovare perché le parti sociali non hanno molto da scambiarsi di materie di loro pertinenza, ma hanno idee diverse su strumenti dello Stato: come gli ammortizzatori sociali, il peso delle tasse, la pensioni e altro. In queste condizioni, l’accordo tra le parti sociali rischia sempre di essere fatto a spese di un terzo, ossia lo Stato. E non credo che questa sia l’idea che Mario Draghi abbia di patto sociale.
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