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Quei 31.000 metri cubi di rifiuti radioattivi che spaventano l’Italia

Secondo gli ultimi dati (dicembre 2019) dell’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione (Isin), in Italia ci sono poco meno di 31.000 metri cubi di materiale radioattivo, corrispondenti a 2,9 milioni di   Giga-Becquerel (unità di misura che esprime la ‘carica’ dei rifiuti radioattivi).

Sono inoltre ancora attivi alcuni piccoli reattori di ricerca ed è sempre più diffuso l’impiego di sorgenti di radiazioni ionizzanti nelle applicazioni mediche, nell’industria e nella ricerca, con conseguente produzione di rifiuti radioattivi. A fare il punto sul tema, a dieci anni dall’incidente di Fukushima, il numero di marzo de La Nuova Ecologia e Unfakenews, la campagna di Legambiente volta a scongiurare le ‘bufale’ ambientali.

I nostri rifiuti radioattivi sono attualmente in 24 impianti in 8 regioni (Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Lazio, Campania, Basilicata, Puglia e Sicilia), a cui si aggiungono 95 strutture che utilizzano ”sorgenti di radiazioni”, cioè materie radioattive e macchine generatrici di radiazioni ionizzanti. Fra i 24 impianti ci sono le quattro ex centrali nucleari e i due centri di ritrattamento dei combustibili irraggiati (Saluggia, Rotondella).

Molte di queste strutture temporanee hanno notevoli criticità impiantistiche e di localizzazione, che le rendono inidonee e pericolose nella gestione dei rifiuti radioattivi. Nessun sito fra quelli che oggi ospitano materiali e rifiuti radioattivi è stato ritenuto idoneo per il deposito nazionale. Da qui la necessità di un deposito nazionale unico, per sistemare in via definitiva i rifiuti a bassa e media attività che arriveranno dai siti temporanei, dallo smantellamento delle vecchie centrali e dai futuri rifiuti generati dalle attività di ricerca e mediche.

La nuova classificazione prevede la suddivisione dei rifiuti radioattivi in 5 classi, in funzione della radioattività e del tipo di deposito necessario al loro stoccaggio, temporaneo o definitivo: rifiuti radioattivi a vita media molto breve, ad attività molto bassa e di bassa, media e alta attività. Quelli ad alta attività sono destinati a un deposito geologico ancora da individuare in Europa, le altre categorie finiranno al Deposito nazionale.

Eredità dalle passate attività nucleari e oggi generati anche da attività di ricerca mediche e industriali, le scorie sono materiali radioattivi (liquidi, gassosi o solidi) per i quali nessun utilizzo ulteriore è previsto e che devono essere smaltiti. La pubblicazione della Cnapi (la Carta nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee a ospitare il Deposito Nazionale e Parco Tecnologico), da parte della Sogin il 5 gennaio scorso, rimasta secretata per sei anni e tre governi, ha finalmente aperto il percorso per arrivare a una soluzione condivisa sui nostri rifiuti radioattivi e mettere il Paese in   sicurezza. 

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