Secondo i dati principali del settore del gioco pubblico in Italia, oltre 65mila aziende che danno lavoro a 150mila persone per un gettito erariale di 11,2 miliardi di euro. I numeri sono stati presentati nella sede di Confcommercio a Roma durante il forum “Il gioco pubblico alla sfida della sostenibilità” promosso da Acadi, l’associazione dei concessionari di giochi pubblici. La rete del gioco in Italia conta oltre 85mila punti vendita, di cui ben 75mila appartenenti alla rete generalista: 41mila tra bar ed esercizi pubblici e 34.500 tra tabaccherie e ricevitorie. Sono 53.500 i punti vendita in cui sono presenti gli apparecchi, di cui circa 49mila della rete generalista che presidiano oltre 6mila comuni italiani.
«Ridurre, comprimere, limitare o in qualche modo penalizzare direttamente o indirettamente la presenza del gioco oggi radicata sui territori» ha detto il presidente di Acadi, Geronimo Cardia «significa compromettere gli interessi costituzionali della tutela della salute dell’utente e della fede pubblica, della tutela dell’ordine pubblico sui territori, come la prevenzione del riciclaggio». Per il presidente della Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi), Lino Stoppani, «a rischio sono soprattutto i bar di prossimità, quelli nei quali il gioco è intrattenimento».
«Guardando solo ai pubblici esercizi» sottolinea, «il loro numero si è ridotto di un terzo tra il 2017 ed oggi. È necessario tornare ad un accordo di concertazione tra Stato ed Autonomie sulla corretta distribuzione degli esercizi per difendere legalità, salute ed economia. Abbiamo vissuto e stiamo vivendo come persone e come imprese la cosiddetta “permacrisi”, e cioè crisi su crisi storiche di questa stagione drammatica. Dalla pandemia alla guerra nel nostro continente, all’emergenza climatica, al costo delle materie prime ed energetiche, all’inflazione, alla rivoluzione digitale» le parole del presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli.
«E oggi la situazione economica presenta alcuni motivi di preoccupazione. Proprio in questi giorni il nostro ufficio studi stima, in ribasso, la crescita tendenziale annua del Pil dello 0,8%, e i consumi sono ancora deboli, tanto che le famiglie hanno perso in due anni 17 mila e 600 euro in termini di potere d’acquisto. Anche occupazione e produzione mostrano segni di fragilità. Serve un’operazione di fiducia attraverso la detassazione degli aumenti contrattuali e delle tredicesime e confermando, anche per il 2024, la riduzione del cuneo fiscale. Sarebbe una boccata di ossigeno in grado di rimettere in moto i consumi e la nostra economia».








