Le Borse europee festeggiano la Fed, che ieri ha annunciato un allentamento di 50 punti annunciando un taglio complessivo di 100 punti nel 2024 per frenare il rallentamento del mercato del lavoro.
Ma giornata che vai, banca centrale che trovi.
Oggi c’è stato anche il verdetto della Bank of England, che dopo il primo taglio di luglio, a settembre ha deciso di lasciare i tassi invariati, decisione ampiamente attesa dal mercato.
Domani toccherà invece alla Bank of Japan che, con ogni probabilità, deciderà di rimanere ferma.
Da segnalare, nel pomeriggio di domani, anche il discorso della presidente della Bce, Christine Lagarde, a Washington che potrebbe dare qualche indicazione sulle future mosse della Banca Centrale Europea dopo i nuovi dati sull’inflazione, che ad agosto nell’Eurozona si è attestata a +2,2%.
“È una gara prima che la debolezza porti a una recessione”, ha affermato Priya Misra, portfolio manager di JP Morgan Asset Management, sentito dal Wall Street Journal.
Oggi il numero di persone che hanno richiesto sussidi di disoccupazione negli Stati Uniti è sceso di 12.000 unità rispetto alla settimana precedente, attestandosi a 219.000 unità nel periodo conclusosi il 14 settembre.
Un dato significativamente al di sotto delle aspettative di mercato di 230.000 oltre che nuovo minimo di 4 mesi.
Se il mercato del lavoro quindi tiene, resta la domanda sul perché questo taglio straordinario da parte della Federal Reserve.
Una domanda che ieri sera aveva scosso pure Wall Street, tanto che nonostante la riduzione del costo del denaro aveva chiuso in negativo.
Ma la spinta dall’Asia di stamattina ha diradato i dubbi degli investitori, che si sono così riversati a comprare.
Ma soprattutto sono in rialzo gran parte delle materie prime.
Oro, argento, rame e petrolio su tutte, che storicamente beneficiano di un denaro più a buon mercato.
Il Wti in particolare è tornato a 70 dollari al barile, dopo le gelate dei giorni scorsi, e l’oro si è riposizionato sopra i 2.600 dollari l’oncia ovvero a un passo dall’ennesimo record storico e l’argento ha ripreso la sua marcia superando di nuovo i 31 dollari per oncia.
L’inflazione sembra dunque non fare più paura a Powell, convinto di poter arrivare comodamente all’obiettivo del 2% – raggiunto tra l’altro proprio in questi giorni dal Canada, dove la banca centrale ha tagliato i tassi dello 0,25% ogni volta che si è riunita da giugno portando così la riduzione complessiva a un -0,75% in una estate.
C’è chi però non segue la Fed e la Bce nei tagli.
La Banca d’Inghilterra conferma le attese e tiene i tassi al 5%, dopo una sforbiciata di uno 0,25% nella riunione precedente del Comitato di politica monetaria.
La Bank of England ha optato per un “approccio graduale” ai tagli per arrivare al 2%.
Un percorso che – secondo i banchieri centrali londinesi – potrebbe arrivare anche dalla decisione assunta oggi di “ridurre lo stock di acquisti di obbligazioni del governo del Regno Unito detenuti per scopi di politica monetaria e finanziati dall’emissione di riserve della banca centrale, di 100 miliardi di sterline nei prossimi 12 mesi, per un totale di 558 miliardi di sterline”.
L’obiettivo, ha ribadito la Banca d’Inghilterra è sì abbassare il carovita, ma “su base duratura”.
La BoE sembra più aggressiva, ma a dirla tutta l’inflazione dei servizi nel Regno Unito è più alta che negli Stati Uniti e nell’eurozona.
Inflazione che preoccupa anche la potente Norges Bank, il più grande investitore mondiale, la quale ha mantenuto invariato i tassi di interesse al massimo degli ultimi sedici anni del 4,5% per la sesta riunione consecutiva, facendo sapere che probabilmente manterrà invariato il tasso per il resto dell’anno.
La Norges Bank ha poi osservato che l’inflazione ha rallentato a un ritmo più rapido di quanto previsto a giugno “tuttavia, nel frattempo, una politica restrittiva ha continuato a essere giustificata per riportare la crescita dei prezzi al suo livello target entro un orizzonte temporale ragionevole”.
Non è che – come dice Filippo Diodovich, senior Market Strategist di Ig Italia – la scelta della Fed sia stata “un po’ affrettata?”.








