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Il PNRR allarga il debito pubblico | Lo scenario

Quasi 82 miliardi di euro.

A tanto ammonta “l’effetto di peggioramento” su debito pubblico in più che il Piano nazionale di ripresa e resilienza porterà con sé tra il 2023 e il 2026.

E questo soltanto se si contano i nuovi progetti.

Prendendo in considerazione il Pnrr nella sua interezza l’effetto sul fardello che grava sui conti pubblici italiani arriva quasi a sfiorare quota 140 miliardi nei tre anni.

Cifre messe nero su bianco in un documento che gira nei Palazzi e all’attenzione di tutti i parlamentari.

A fare i conti sono i tecnici di Camera e Senato in un dossier che accompagna la terza relazione sull’attuazione del piano di ripresa italiano, presentata da ministro per gli Affari europei, Raffaele Fitto impegnato nelle trattative con la Commissione europea per sbloccare la terza rata da 19 miliardi su 191,5 miliardi totali che spettano all’Italia.

La rata è stata richiesta a Bruxelles già dallo scorso dicembre.

L’ok sarebbe dovuto arrivare verso i primi di aprile, sono invece trascorsi sei mesi e nel mentre, lo scorso 30 giugno, l’Italia ha mancato una piccola porzione degli obiettivi previsti nel primo semestre dell’anno per poter accedere alla quarta rata da 16 miliardi.

Per venire a capo dei calcoli sull’effetto peggiorativo del Pnrr sul debito pubblico bisogna procedere per gradi.

La cifra di 81,8 miliardi tiene conto dei soli progetti aggiuntivi rispetto ai tendenziali pre-Pnrr.

Le spese del Next Generation Eu sono infatti di due categorie.

La prima racchiude i cosiddetti progetti in essere, il cui valore si aggira attorno a 51,4 miliardi, già previsti prima del Piano e finanziati con altri fondi nazionali.

L’altra è fatta di progetti nuovi e addizionali.

La seconda distinzione chiave riguarda la natura delle risorse messe a disposizione dalla Ue.

Di 191,5 miliardi richiesti e ottenuti dall’Italia, 122,6 miliardi sono prestiti (Roma ha chiesto l’intero ammontare a disposizioni).

Il resto, 68,9 miliardi, sono sovvenzioni a fondo perduto e soltanto queste ultime possono incidere sulla riduzione del deficit.

Data la sproporzione tra il valore dei primi e dei secondi, l’equilibrio tra le due componenti mantenuto fino al 2022 e anche nella terza rata, composta da 10 miliardi in sovvenzioni e 9 miliardi di sovvenzioni, verrà meno da quest’anno.

Già nella quarta rata i prestiti peseranno per 14,1 miliardi, mentre la parte a fondo perduto sarà di appena 1,9 miliardi.

Quindi se si dovesse riuscire a ottenere l’assegno entro il prossimo dicembre, scongiurando uno slittamento al 2024, la parte in prestiti prevista per l’anno in corso sarebbe di 23,1 miliardi su 35 miliardi totali attesi.

Fatte queste premesse, il documento messo a punto dai tecnici delle Camere, prendendo in considerazione il Pnrr nella sua interezza, compresi quindi i progetti in essere, spiega che l’effetto peggioramento per il triennio 2023-2026 sarà di 139,8 miliardi.

Il calcolo è presto fatto.

Il Piano nel suo complesso porta a un aumento del debito del 122,6 miliardi, vale a dire la cifra complessiva dei prestiti.

Nel primo triennio di attuazione, il Pnrr, al contrario degli effetti previsti per il futuro, ha portato a un miglioramento di 17,2 miliardi del debito.

Tale cifra si ottiene con la differenza tra le entrate per cassa da sovvenzioni per 29 miliardi e la spesa per cassa di 11,7 miliardi.

I tecnici del Parlamento ricordano quindi che restano da erogare per cassa spese per 179,8 miliardi, mentre le entrate da sovvenzioni da incassare si fermano a soli 39,9 miliardi.

Totale 139,8 miliardi, con un impatto superiore alla semplice quota di prestiti richiesti dall’Italia in quanto sconta il miglioramento registrato tra il 2020 e il 2022.

Lo stesso ragionamento è applicato prendendo in considerazione la sola attuazione dei nuovi progetti.

Anche in questo caso il maggior debito per 81,8 miliardi supera l’effetto netto imputabile ai nuovi progetti (55,6 miliardi).

Lo stesso documento precisa anche che i profili di finanza pubblica del Pnrr potrebbero “mutare significativamente” dopo la revisione del piano concordata con le autorità europee.

Ulteriori risorse arriveranno infatti dal capitolo RepowerEu, il programma di investimenti per rompere la dipendenza europea del gas russo.

All’Italia spetterà una quota di 2,7 miliardi di ulteriori sovvenzioni a valere sugli incassi di scambio di quote di emissione, il cosiddetto sistema Ets.

Roma ipotizza poi di poter prendere una parte della quota, di cui non si conosce ancora l’entità, dei prestiti del Recovery and Resilience Facility, il Pnrr europeo propriamente detto, non ancora usati dagli altri Paesi.

Per scongiurare contraccolpi, nel dossier viene suggerito di valutare se la revisione del Piano “possa eventualmente riguardare anche misure i cui effetti di finanza pubblica siano già stati registrati nel periodo di consuntivo 2020-2022”.

L’eventuale sostituzione di spese già finanziate con sovvenzioni con altre spese da realizzare a valere sulle medesime risorse in esercizi futuri “potrebbe comportare effetti migliorativi del deficit dei medesimi esercizi.

Ciò nell’ipotesi in cui le spese sostitutive dovessero riguardare “progetti in essere”, si legge ancora.

Quanto all’ipotesi di ricorrere a nuovi prestiti il consiglio è di usarli per finanziare interventi già previsti nei tendenziali, “ove sussista un beneficio in termini di interessi”, anziché come forma di copertura per nuovi progetti.

In questo modo i prestiti europei “sarebbero utilizzati in funzione meramente sostitutiva di prestiti di mercato, in modo da evitare effetti di aumento del debito”.

Considerazione da tenere presente mentre il Tesoro, da gennaio, ha già emesso titoli a medio e lungo termine per 201 miliardi, su un programma che si pone come limite massimo a fine anno quota 320 miliardi (nel quale sono inclusi anche i 23 miliardi di prestiti Pnrr) e rendimenti medio all’emissione al 3,55%.

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