L’estate ha portato una leggera espansione dell’economia italiana, con un lieve aumento dei consumi, invertendo così la rotta rispetto al calo del Pil nel secondo trimestre, che rifletteva soprattutto il deciso calo delle esportazioni.
Ma il contesto di incertezza legato ai dazi minaccia di frenare le attività future delle imprese, in particolare per quanto riguarda gli investimenti. Nonostante questo, il Pil italiano dovrebbe crescere dello 0,6% quest’anno e nel 2026, attestandosi a +0,7% nel 2027. L’inflazione, invece, si attesterà all’1,7% in media nel 2025, all’1,5% nel 2026 e all’1,9% nel 2027.
Sono le principali evidenze contenute nel Bollettino Economico di Bankitalia e nell’aggiornamento delle Proiezioni macroeconomiche relative al triennio 2025-27. Triennio su cui peseranno le tensioni commerciali internazionali, con l’impatto cumulato dei dazi Usa che secondo le stime di Palazzo Koch dovrebbe valere lo 0,5% del Pil, riguardando in particolare le imprese italiane votate all’export.
Mentre l’impatto sull’indotto sarebbe “nel complesso contenuto”, anche se gli effetti negativi delle tariffe su queste aziende potrebbero essere accentuati da altri fattori, tra cui “la riconfigurazione geografica delle catene globali del valore e le ripercussioni negative delle tensioni geopolitiche sugli scambi internazionali”.
Del resto, sul contesto italiano incide anche la dinamica europea, con Bankitalia a sottolineare come il Pil dell’Eurozona sia rallentato notevolmente nel secondo trimestre. Allarme, quello sull’andamento dell’economia Ue, lanciato anche dal nuovo Economic Outlook del Fondo Monetario Internazionale, per cui è probabile che nel Vecchio Continente “il clima di fiducia possa indebolirsi ulteriormente”, pesando “sugli investimenti e sulla creazione di posti di lavoro”.
Se l’Fmi ha confermato le stime di crescita del nostro Paese nei prossimi anni, arrivando inoltre a lodare i risultati “fantastici” ottenuti per quanto riguarda la riduzione del deficit, sull’Europa in senso collettivo pesano invece “la produttività ancora bassa”, la sfida legata “ai fattori demografici” ma anche quella del “rafforzamento dell’euro”, che potrebbe avere conseguenze sull’export e dunque sulla crescita.
Rendendo ancora più necessarie, sottolinea l’Fmi, “riforme” da tempo attesa ma mai attuate su settori come quelli dell’energia, del lavoro e dei mercati capitali.








