“Con la sua visita a sorpresa, accuratamente calendarizzata alla vigilia del primo anniversario dell’invasione russa dell’Ucraina e nel giorno in cui si commemorano le vittime dell’Euromaidan – le manifestazioni che segnarono nel 2014 il definitivo taglio del cordone ombelicale che ancora legava Kiev a Mosca – Joe Biden ha lanciato a Vladimir Putin un monito e una sfida”.
Lo scrive Paolo Garimberti su Repubblica aggiungendo che il presidente Usa “ha ricordato che, dopo un anno di bombe e di feroci combattimenti, «Kiev è ancora in piedi» e, dunque, «la democrazia è ancora in piedi».
E lo ha avvertito che l’America starà con l’Ucraina ‘as long as it takes’, per quanto sarà necessario. Ma il presidente americano ha in qualche modo delimitato il perimetro, non temporale ma qualitativo, del “as long as it takes”.
Non soltanto ha fatto segnalare in anticipo a Mosca la sua visita per evitare tragici equivoci (un segno che comunque lo storico ‘telefono rosso’ tra Casa Bianca e Cremlino, anche se fisicamente disattivato, è politicamente ancora in funzione) – aggiunge Garimberti – ma ha anche evitato di impegnarsi con Zelensky sulla fornitura di armi che potrebbero portare il conflitto al di là di quella linea rossa il cui superamento varrebbe un rischio elevatissimo di terza guerra mondiale.
Quali garanzie dare per il dopoguerra all’Ucraina?
Sembra una domanda prematura, ma in realtà è un modo per dare al presidente ucraino un sostanziale senso di appartenenza alla comunità occidentale (l’Unione europea e/o la Nato), che per il momento non può avere sul piano formale.
E sarebbe anche una sorta di risarcimento a Kiev per quella che può ben essere definita la beffa del Memorandum di Budapest del 1994.
Secondo il segretario generale della Nato Rasmussen, che ha lavorato a una proposta per la sicurezza dell’Ucraina con Andriy Yermak, il capo dello staff di Zelensky, la soluzione potrebbe essere una sorta di estensione dell’articolo 5 della Nato (che prevede la risposta collettiva degli alleati in caso di attacco a uno dei Paesi membri). Ma – conclude l’editorialista – sembra un gioco di destrezza che potrebbe far arricciare il naso ad alcuni europei”.








