Parlare a Roma di “modello Starmer” in materia di dazi e di risposta europea a Trump, osserva su Repubblica Stefano Folli, può voler dire molte cose, nessuna delle quali garantisce. Tuttavia al momento si brancola nel buio e quindi ben venga anche l’ipotesi inglese, gradita alla nostra premier.
Purché si mettano in chiaro alcuni aspetti cruciali. In primo luogo, come tutti sanno, il Regno Unito è fuori dall’Unione europea; quindi è obbligato a discutere con la Casa Bianca in via bilaterale. E d’altra parte il presidente Trump ha indirizzato la sua lettera dai toni acidi all’Unione, non ai singoli Stati: segno che rispetta l’assetto giuridico del vecchio continente e si rende conto che la trattativa, almeno nelle fasi iniziali, deve avere il suo centro nella commissione di Bruxelles, negoziatrice a nome di tutti.
È vero tuttavia che al dunque le cancellerie nazionali contano molto di più della debole presidenza Von der Leyen, ancora più fragile dopo il voto di sfiducia respinto qualche giorno fa. E già oggi la dialettica è piuttosto vivace nelle varie capitali: tra la Francia favorevole a una linea intransigente e la Germania propensa a dare un’altra possibilità al compromesso, il centrodestra italiano è più vicino ai tedeschi.
Ma ogni nazione sa di dover tutelare il proprio interesse, che non sempre coincide con quello generale. Sullo sfondo, come si detto, Londra è già arrivata all’approdo sulla base di un 10 per cento, più o meno. Ma è il Regno Unito, come si è detto, propenso a badare a se stesso.
Ovvio che da questo lato dell’Atlantico si tratta soprattutto di tattiche diverse, perché la strategia di tutti è o dovrebbe essere volta a ottenere le condizioni migliori per il sistema produttivo e rasserenare le opinioni pubbliche spaventate.
Dunque, il “modello Starmer”. Non è granché praticabile, a meno di non metterlo nelle mani della commissione, quasi che Bruxelles fosse “una grande Londra”: il che è irrealistico. Certo, se si dovesse arrivare a una serie di negoziati bilaterali con le singole capitali, può darsi che i risultati assomiglierebbero a quelli spuntati dal premier britannico.
Ma il prezzo sarebbe la fine dell’Unione come l’abbiamo conosciuta.








