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Il conto corrente ancora non rende | L’analisi

Il 4% offerto in Italia dalla banca spagnola Bbva sul conto corrente ha raccolto 1,3 miliardi di euro e attirato 75 mila nuovi clienti in meno di due mesi.

Ma non ha acceso la concorrenza sul mercato tricolore: il tasso medio sui depositi in c/c, in base agli ultimi dati Abi di ottobre, è allo 0,51%.

Certamente è cresciuto dallo 0,47% di settembre e dallo 0,07% di un anno fa, ma resta da prefisso telefonico e, soprattutto, si confronta con un costo medio sui prestiti (a famiglie e imprese non finanziarie) del 4,7%, dal 2,79% di ottobre 2022 quando il tasso Bce era all’1,25% mentre oggi, dopo la lunga fase di aumenti, partita a luglio 2022, è al 4,5%.

La differenza tra i tassi sui prestiti e quelli sulla raccolta (per le nuove operazioni di famiglie e società non finanziarie), ad ottobre 2023 in Italia risulta pari a 192 punti base, in aumento dai 143 punti a giugno 2022, prima dell’avvio dei rialzi della Bce, evidenzia Abi.

Come risultato il margine di interesse delle prime cinque banche italiane, calcola Dbrs Morningstar, è salito nei nove mesi del 55%.

Proprio l’aumento della forbice tra tassi attivi e passivi, scrive MF-Milano Finanza, ha convinto questa estate il governo ad intervenire per tassare i guadagni aggiuntivi ottenuti con l’aumento generalizzato dei tassi su mutui e prestiti a fronte di una remunerazione quasi a zero sui conti.

Ovviamente, non potendo obbligare gli istituti a pagare di più i depositi, l’esecutivo ha optato per una tassa sugli extra profitti generati da questo differenziale, sulla scia di quanto introdotto da altri Paesi europei.

Ma il provvedimento è stato poi depotenziato perché alle banche è stata proposta, come alternativa, quella di mettere a bilancio la somma per rendere il loro patrimonio più solido.

Mentre negli Usa, mercato più fluido avendo il Paese da sempre un modello basato sulla competizione, la soluzione è arrivata dalle forze mercato che hanno fatto il loro lavoro.

I tassi medi sui depositi negli Usa sono saliti al 2,9% dallo 0,1% di inizio 2022 quando la Fed ha cominciato ad alzare il costo del denaro oggi al 5,25%-5,50% rispetto allo 0-0,25% di gennaio 2022.

Questione di Beta.

La misura in cui i tassi della Bce più alti sono traslati ai correntisti è conosciuta come Beta ed è stata uno dei punti al centro del report degli analisti dopo gli ultimi bilanci delle banche del terzo trimestre appena pubblicati.

“Le banche continuano a beneficiare di una revisione dei tassi più rapida nelle attività (ovvero sui prestiti, ndr) rispetto alle passività (sui conti, ndr), poiché i Beta dei depositi rimangono al di sotto delle aspettative”, evidenza Dbrs Morningstar in una ricerca dello scorso 13 novembre sui cinque più grandi istituti italiani (Intesa, Unicredit, Banco Bpm, Bper e Mps).

Sulla stessa lunghezza d’onda Citi che, in uno studio pubblicato lo stesso giorno, evidenzia, per quanto riguarda tutte le tipologie di depositi (ovvero in conto corrente e a termine per famiglie e imprese), “che i dati di settembre mostrano per le banche italiane un Beta ancora basso”.

Citi segnala che l’indice è al 14% per il sistema italiano, seppur in aumento dal 12,7% di giugno scorso e dal 6,9% di fine 2022.

In confronto, come emerge da un’analisi di Novobanco (quarta banca portoghese) sui dati a fine maggio scorso, nell’Ue il Beta medio è del 18%.

Tra gli 10 Paesi europei analizzati il valore più elevato è in Francia con il 31% e il più basso in Irlanda con il 7%.

L’Italia a maggio era settima con il 12%.

Seconda l’Austria con il 26%, terza l’Olanda con il 25%, quarta la Finlandia con il 23%, poi la Germania con il 18%, quindi il Belgio con il 15%, l’Italia al 12%, la Spagna con l’8% e ultime Portogallo e l’Irlanda (entrambe con il 7%).

Citi entra nel dettaglio: considerando i soli conti correnti il Beta è ancora più basso, il 10,1%, valore in crescita dal 9% di giugno scorso e dal 5,6% di fine 2022, ma ancora contenuto (mentre è al 49,9% sui depositi a termine che sono però uno strumento diverso perché comprendono i conti vincolati che sono strumenti di parcheggio della liquidità e non offrono operatività quotidiana come i c/c).

I Beta attuali in Italia appaiono modesti anche guardando l’andamento di precedenti cicli di rialzi dei tassi della Bce, osserva ancora Citi.

Nel periodo tra il 2005 e il 2008 il Beta complessivo di tutti i depositi era giunto a questo punto, ovvero dopo 15 mesi dal primo rialzo dei tassi della Bce, sopra al 40%, nel 2011 addirittura era arrivato all’80%.

Stessa dinamica per i soli conti correnti: il 10,1% attuale si confronta con un Beta del 35% nel ciclo di aumenti tra il 2005 e il 2008 (grafico in pagina).

I piccoli che si muovono.

Qualche segnale di risveglio dei tassi c’è, ma si tratta di casi isolati (tabella in pagina), come Bbva che non a caso è un istituto straniero e per conquistare quote ha deciso di adottare una politica aggressiva sul mercato italiano.

Peraltro il tasso è a tempo e scadrà il 31 gennaio 2025.

Ma a quel punto si capirà dove saranno arrivati i tassi Bce.

Difficile dire se chi ha acceso un conto al 4% in Bbva abbia abbandonato la propria banca oppure se abbia affiancato due conti correnti, un’ipotesi possibile considerando che il conto non ha spese.

Le alternative per chi volesse una remunerazione sul c/c non sono molte e arrivano da piccole banche.

Ibl Banca ha deciso di prolungare al 17 gennaio 2024 l’offerta del 3,3% lordo sul conto corrente per 12 mesi per i nuovi clienti.

Il tasso del 3,3% è sui primi 50 mila euro, dai 51 mila fino ai 150 del 3% e al 2,5% oltre.

Illimity remunera la giacenza del conto Premium al 2,5% annuo fino a fine 2024 (con imposta di bollo di 34,2 euro l’anno a suo carico).

Fundstore (Banca Ifigest) propone il conto Web con tasso annuale pari a Euribor a tre mesi meno 0,6% (oggi il tasso è del 3,43%).

Banca Progetto dà il 2,5% annuo sul conto Key fino a marzo prossimo per aperture entro fine 2023.

Banca Sistema offre l’1,5%.

Ma in ogni caso bisogna fare attenzione alle spese annue di tenuta conto che non per tutti sono a zero.

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