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I travagli del nuovo bilancio europeo | L’analisi di Rocco Cangelosi

Ursula von der Leyen ha presentato mercoledì scorso la proposta del nuovo Quadro Finanziario Pluriennale 2028-2035 (QFP) come “il bilancio più ambizioso per un’Europa più forte, mai realizzato. Un bilancio più strategico, più flessibile e più trasparente”.

Gli entusiasmi della Presidente della Commissione sono stati però gelati dalle reazioni ricevute alla sua proposta, che sembra scontentare un po’ tutti. Sono soprattutto i cosiddetti Paesi “frugali” guidati dalla Germania, che si dichiarano contrari a un possibile aumento di bilancio, mentre il Parlamento europeo, in particolare le famiglie socialiste, liberali e verdi, ritengono la proposta dell’esecutivo inadeguata e priva di coraggio politico per quanto riguarda sia l’ammontare complessivo del bilancio che la sua strutturazione.

Sulla carta il nuovo QFP presenta un sostanziale aumento (1984 miliardi pari al 1,26% del Pil Ue, rispetto al precedente del 2021-2027, 1211 miliardi pari all’1,13% del Pil, senza considerare la spesa straordinaria per il Next Generation EU). Tuttavia, l’aumento è solo apparente. In termini reali la cifra complessiva di €1984 miliardi si riduce a 1763 miliardi (1,15% del RNL) se si considerano, come afferma la stessa Commissione, l’inflazione per il periodo 2028-2034 e il rimborso, a partire dal 2028, del debito europeo contratto durante la pandemia tramite il dispositivo Next Generation EU (solo per il 2028 si stimano €24 miliardi).

Pur trattandosi in sostanza di un aumento quasi impercettibile, il nuovo Quadro finanziario viene nondimeno contestato duramente dai Paesi frugali e soprattutto dalla Germania che, dopo aver deliberato il superamento del freno al debito e ottenuto le deroghe al Patto di Stabilità, sembra voler concentrare ogni espansione della spesa sul piano esclusivamente nazionale, opponendosi a possibili maggiori impegni comunitari.

Anche la proposta di finanziamento del Bilancio attraverso cinque nuove risorse proprie basate essenzialmente sulla tassazione dei rifiuti non riciclati, il consumo di tabacco, le emissioni di CO2 e un’imposta sugli utili delle grandi società che dovrebbero generare fino a circa 50 miliardi all’anno, viene ferocemente avversata dalla maggior parte dei Paesi membri contrari all’idea di introduzione di nuove tasse per paura delle ripercussioni negative sul piano nazionale.

Analogamente, viene esorcizzato il timido tentativo di rilanciare una quota di debito comune per un ammontare di 400 miliardi per finanziare esigenze straordinarie.

Ma i guai per Von der Leyen non finiscono qui. L’idea di far confluire in un fondo unico sussidi agricoli e fondi di coesione ha determinato una forte opposizione da parte delle categorie interessate, del Parlamento europeo e di alcuni Paesi membri che vedono nella creazione di un Fondo unico nazionale per ogni Paese il grimaldello per rinazionalizzare le tradizionali politiche europee a danno delle regioni, nonostante le assicurazioni della Commissione.

Profonde preoccupazioni emergono in una larga parte del Parlamento europeo che teme la perdita di controllo sul bilancio a causa dei nuovi meccanismi di semplificazione e flessibilità. La Commissione è accusata dalla maggioranza che ne ha sostenuto l’elezione di aver sposato le tesi di Popolari e destre europee, propense a favorire una maggiore ownership sul piano nazionale.

Il negoziato che si apre adesso e che durerà circa due anni si prospetta travagliato e carico di insidie. Socialisti, Verdi, Liberali e Sinistra europea attendono al varco Von der Leyen, ritenuta colpevole di aver tradito la maggioranza che ne aveva propiziato l’elezione, per essersi spostata gradualmente sulle posizioni delle destre europee attraverso la politica dei due forni, inaugurata dai popolari europei, guidati da Manfred Weber.

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