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Guerra Israele-Iran: rincari in bolletta di +6.000 euro in 3 mesi per le imprese, sale di +0,8% l’inflazione | Il report

“L’escalation militare tra Stati Uniti e Iran corre il rischio di generare una nuova emergenza energetica per l’Italia: le bollette energetiche delle piccole e medie imprese italiane potrebbero aumentare fino a 6.000 euro nel solo terzo trimestre del 2025, a causa del rialzo dei prezzi del gas e del petrolio sui mercati internazionali. L’impatto complessivo sull’inflazione, se la crisi dovesse protrarsi per almeno tre mesi, è stimato fino a +0,8 punti percentuali, con un ritorno del tasso annuo in viaggio verso il 3%”.

È quanto segnala il Centro studi di Unimpresa, secondo cui le imprese energivore sono già in sofferenza: “Se i rincari si consolidano, l’intero sistema produttivo italiano rischia di perdere competitività. E i costi, inevitabilmente, si scaricheranno sui consumatori finali. Particolarmente colpiti i settori metallurgico, ceramico, alimentare, carta e vetro, ma anche la piccola manifattura e l’artigianato sono esposti a forti rincari. In parallelo, il carovita colpirà soprattutto beni di largo consumo come pasta, pane, latte e trasporti.”

“Chiediamo al governo di attivare un monitoraggio costante e in tempo reale sull’andamento dei prezzi di gas e petrolio, con l’obiettivo di valutare tempestivamente l’impatto sulle imprese italiane, in particolare quelle di piccole e medie dimensioni. Contestualmente, riteniamo indispensabile la convocazione urgente di un tavolo di emergenza a Palazzo Chigi, con la partecipazione delle associazioni di impresa, delle autorità di regolazione e dei principali operatori del settore energetico. Non possiamo permetterci di affrontare una nuova crisi energetica con strumenti ordinari”, commenta il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora.

Secondo il Centro studi di Unimpresa, “l’escalation militare in Medio Oriente, innescata dall’attacco americano contro tre siti nucleari iraniani e dalla durissima risposta di Teheran contro Israele, non è soltanto una questione geopolitica. È, per l’Italia, un nuovo fronte di instabilità economica che colpisce direttamente il cuore pulsante del sistema produttivo: le piccole e medie imprese. Il nostro Paese importa oltre il 75% del proprio fabbisogno energetico e dipende ancora largamente da petrolio e gas per far funzionare capannoni, catene logistiche e trasporti: ne consegue che il rincaro delle materie prime energetiche è un elemento dirompente, capace di impattare con forza crescente sui costi, sui margini e, a cascata, sui prezzi finali pagati dai consumatori.”

Per Unimpresa, “l’aumento colpisce in modo asimmetrico: le imprese energivore (ceramica, metallurgia, alimentare, carta, vetro, meccanica pesante) sono le più esposte, ma anche le attività artigiane, il piccolo commercio e il settore dei servizi iniziano a sentire gli effetti. Il meccanismo è noto: quando il costo dell’energia diventa imprevedibile o troppo elevato, le imprese iniziano a tagliare spese, rinviano investimenti, rivedono la produzione o, nei casi peggiori, scaricano il rincaro sul prezzo finale dei beni. E così, il disagio si trasferisce sui consumatori.”

“L’Italia, a differenza di altri Paesi europei – afferma Unimpresa –, ha una rete di imprese più frammentata, meno patrimonializzata e meno in grado di assorbire choc improvvisi. Per questo, il passaggio dell’aumento dei costi energetici ai listini di beni e servizi può essere più rapido e diretto. L’effetto sui prezzi al consumo è dunque il secondo grande tema da monitorare. Secondo le simulazioni del Centro studi di Unimpresa, un aumento strutturale di +10 euro/MWh sul gas e di +10 dollari al barile sul petrolio, se mantenuto per almeno tre mesi, può determinare un incremento dell’inflazione annua in Italia tra 0,4 e 0,8 punti percentuali.”

“Considerando che l’inflazione core (al netto di energia e alimentari) viaggiava intorno all’1,7% a maggio 2025, l’aggiunta di questo nuovo elemento potrebbe riportare il tasso complessivo verso il 3% entro fine estate. I beni maggiormente colpiti saranno quelli a filiera corta ma energivora – pane, pasta, latte, carne – con aumenti stimati del 2-4% nel trimestre luglio-settembre, anche in assenza di tensioni sulle materie prime agricole. Ma l’effetto si sentirà anche sui trasporti pubblici, sulla logistica privata, sul riscaldamento domestico e sulla manutenzione degli edifici. In altre parole: le imprese pagano il primo conto, ma i cittadini – soprattutto quelli a reddito fisso – subiscono quello finale”, conclude l’analisi.

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