Siccità, incendi, inondazioni, tempeste: a questo ritmo, i disastri climatici potrebbero costare fino al 5% del Pil dell’eurozona entro il 2030.
A suonare il campanello d’allarme è la Bce.
Un simile shock comprometterebbe le previsioni di crescita del Fondo Monetario Internazionale, che attualmente servono da scenario di riferimento, ha specificato l’istituzione con sede a Francoforte.
Per arrivare a questa stima, la Bce si è basata su diversi scenari, dal peggiore al migliore, pubblicati dalla rete Ngfs – una coalizione di oltre 140 banche centrali e autorità di regolamentazione.
Queste proiezioni non sono previsioni in senso stretto: ipotizzano shock estremi, statisticamente previsti ogni cinquant’anni, per sensibilizzare i decisori pubblici e privati sul potenziale impatto economico dei cambiamenti climatici.
Più delle simulazioni a lungo termine, precedentemente disponibili solo fino al 2050, questi nuovi scenari – limitati al 2030 – mirano a scuotere le coscienze fin da ora.
E per una buona ragione: lo scenario peggiore, denominato “Disastri e stagnazione politica”, combina ondate di calore estreme, siccità e incendi a partire dal 2026, seguiti da alluvioni e tempeste l’anno successivo.
Fenomeni che provocano un calo della produttività dovuto al caldo estremo, la massiccia distruzione delle infrastrutture – fabbriche, strade, ponti, ecc. – un aumento dell’inflazione e costi del credito più elevati per i settori più esposti.
Al contrario, uno scenario ottimistico, denominato “Autostrada per Parigi”, presuppone una transizione rapida e coordinata verso la neutralità carbonica, in linea con l’Accordo di Parigi del 2015.
Grazie a ingenti investimenti nelle tecnologie verdi, la crescita potrebbe persino essere leggermente stimolata e l’inflazione contenuta.
Creato nel 2017 dopo la Cop21, l’Ngfs riunisce la Bce, la Banca d’Inghilterra e la Banca del Giappone attorno a un unico obiettivo: integrare i rischi climatici nella regolamentazione finanziaria.








