“L’Europa era partita con una visione organica: mercato unico, tassazione armonizzata, competitività. Ma ha finito per accettare lo status quo imposto dagli altri. E attenzione: il meccanismo delle ritorsioni americane è già pronto. In vari tavoli, Washington ha detto chiaramente che, se si reintroduce la tassa sui servizi digitali, ci sarà una contromisura immediata. A quel punto non si tratta più di negoziato, ma di escalation. E noi europei pare che non siamo così pronti”.
È quanto afferma, in un’intervista a La Stampa, l’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti.
Siamo indietro – spiega – riguardo Unione bancaria e mercato unico dei capitali in bilico, e siamo anche disarmati, perché le nostre ambizioni sulla tassazione digitale sono evaporate. Si poteva agire anche con lo strumento fiscale, senza cambiare i trattati né toccare la regolamentazione tecnica. Ma ci si è tirati indietro. All’inizio la Commissione europea era favorevole poi, da maggio, silenzio totale. È uscito anche il documento del G7 che ha chiuso il discorso.
In questo scenario, aggiunge, la Cina “è un rischio reale. E funziona. Se la manifattura cinese non riesce più a entrare negli Stati Uniti, si riverserà sul mercato europeo. Questo avrà un impatto diretto sulla nostra industria. E qui va fatto un chiarimento: l’Italia è tra i leader mondiali della manifattura, siamo il quarto esportatore del mondo. Dunque, siamo esposti. E proprio per questo, l’errore dell’Europa nel negoziato è ancora più grave. Inoltre, l’idea di poter cercare ingressi in nuovi mercati deve scontare il fatto che anche questi sono daziati dagli Stati Uniti”.
Servono quindi, secondo Tremonti, “meno regole e più coerenza. Le regole servono, certo, ma devono essere chiare e applicabili. Ci stiamo autoescludendo. E questo è il vero problema”.
In sintesi, conclude: “meno parole e più competitività interna. Solo così possiamo avere una voce autonoma nello scenario globale. Ma serve una vera politica europea, non un comitato tecnico”.