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Giochi pericolosi | L’analisi di Antonio Polito

Antonio Polito sul Corriere della Sera prova ad analizzare il perché del fallimento degli ultimi referendum: “La ruota dell’affluenza si è fermata poco sopra il 30% (con il voto estero anche meno), non lasciando spazio alle acrobazie aritmetiche. La spallata al governo, insomma, non c’è stata. Ma il centrodestra – scrive l’editorialista – non può davvero cantare vittoria appropriandosi di un 70% di astenuti. Anche per non mancare di rispetto ai quattordici milioni di cittadini che alle urne invece sono andati, compreso qualche loro elettore.”

“La verità è che gli italiani hanno rifiutato per l’ennesima volta di rilegiferare su materie già deliberate dal Parlamento. Quando pensavano che ne valesse la pena l’hanno fatto, per esempio nel 2011: no al nucleare e sì all’acqua pubblica. Ma è l’unico caso in trent’anni.”

“Il referendum, strumento di democrazia diretta voluto dai nostri costituenti seppure con molte prudenze, è da tempo gravemente malato. E non è una bella cosa usare un malato per scopi politici. Ciò che è stato fatto anche questa volta.”

Mentre invece bisognerebbe affrontare finalmente le cause del male, per niente oscure. Vale per i proponenti, che si avvalgono sempre più spesso della facilità con cui oggi si possono raccogliere online mezzo milione di firme per indire consultazioni che tutti sanno già in partenza senza quorum. Vale per chi si oppone, e dalla comoda trincea che gli offre l’astensionismo abituale impallina così un referendum dopo l’altro.

Che i referendum fossero un regolamento di conti interno era stato del resto esplicitamente ammesso dalla stessa segretaria del PD Elly Schlein, quando ha dichiarato che servivano a fare “autocritica” e a “correggere gli errori del centrosinistra del passato”. Non certo il modo migliore di motivare al voto chi è estraneo, o disinteressato, a questa guerra civile infinita che divide la sinistra tra massimalisti e riformisti.

I quesiti, infine. Spesso resi astrusi dalla tecnica del “taglia e cuci”: per ottenere il risultato sperato non si propone l’abrogazione di una legge, ma di un articolo, di un comma, di una riga.

Il fondato sospetto è che lasciare le cose così stia bene a tutti. A chi sfrutta i referendum per ginnastica elettorale, e a chi li spompa con la pigrizia elettorale. Ma – conclude – della democrazia per finta prima o poi la gente si stufa, e sono guai.”

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