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Francesco Maria Chelli, Presidente Istat: “Persi 97mila giovani laureati in 10 anni” | L’intervento

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L’Italia ha visto emigrare negli ultimi 10 anni circa 97mila giovani laureati con un record nel 2024 e l’uscita di 21mila giovani con un alto livello di istruzione.

Lo ha detto il presidente dell’Istat, Francesco Maria Chelli presentando alla Camera il Rapporto annuale.

“ll 1° gennaio 2025, ha detto, la popolazione residente in Italia è ormai sotto i 59 milioni.

La diminuzione – in atto dal 2014 – è dovuta a una dinamica naturale fortemente negativa; la natalità continua a calare – nel 2024 si sono registrate solo 370 mila nascite – e la fecondità ha toccato il minimo storico di 1,18 figli per donna, sfavorita dalla riduzione del numero di donne in età fertile e dal crescente rinvio della genitorialità.

Il saldo migratorio, pur essendo ampiamente positivo, è insufficiente a compensare la perdita di popolazione.

191 mila persone, inoltre, hanno lasciato il Paese nel 2024 – segnando un incremento del 20,5 per cento rispetto al 2023 – di cui oltre 156 mila cittadini italiani.

Preoccupante – ha avvertito – è l’aumento dell’espatrio tra i giovani 25-34enni con una laurea, 21 mila nel 2023, un record storico; il risultato, spiega il presidente dell’Istat, è una perdita netta di 97 mila giovani laureati in dieci anni“.

DUE TERZI 18-34ENNI VIVONO ANCORA IN FAMIGLIA

Resta elevata la quota di 18-34enni che continuano a vivere nella famiglia di origine, circa due terzi, contro una media europea del 49,6 per cento”.

Lo dice il presidente dell’Istat, Francesco Maria Chelli presentando il Rapporto annuale dell’Istat alla Camera.

“La difficoltà di raggiungere l’indipendenza economica sottolinea – ostacola l’autonomia e ritarda tutte le tappe dei giovani verso l’età adulta, genitorialità compresa”.

RADDOPPIA QUOTA DONNE SENZA FIGLI, SONO IL 26%

Nel passaggio dalla generazione delle madri a quella delle attuali quarantenni, raddoppia la quota di donne senza figli – dal 13 al 26 per cento -, con un picco di circa tre donne su dieci nel Mezzogiorno”.

Lo sottolinea il presidente dell’Istat, Francesco Maria Chelli, presentando alla Camera il Rapporto annuale dell’Istituto.

“Parallelamente, spiega, si riscontra un’accentuata posticipazione dell’età alla nascita del primo figlio, che aumenta la probabilità di avere un numero di figli inferiore alle attese o di non averne affatto.

L’età media alla nascita del primo figlio è salita da 25,9 anni per le nate del 1960 a 29,1 per quelle del 1970, con un rinvio ancora maggiore nelle generazioni più recenti”.

RISCHIO RICAMBIO GENERAZIONALE PER 30% IMPRESE

“Nel complesso delle attività economiche, le dinamiche generali della popolazione e il posticipo dell’età pensionabile hanno determinato, tra il 2011 e il 2022, un progressivo invecchiamento degli addetti.

Le nostre analisi mostrano anche che circa il 30 per cento delle imprese risulta molto esposto all’invecchiamento della forza lavoro.

L’invecchiamento e il rischio del mancato ricambio generazionale, che in aggregato riguarda circa il 30% delle imprese, sono concentrate nelle unità economiche di dimensioni minori, in larga parte di autoimpiego del titolare, scendendo all’1% tra le imprese medie e grandi”.

Lo sottolinea il presidente dell’Istat, Francesco Maria Chelli a proposito delle imprese che hanno almeno metà del personale che ha compiuto 55 anni.

Si tratta perlopiù di unità economiche di dimensioni minori e concentrate nei servizi, in cui l’occupazione coincide in larga parte con l’autoimpiego del titolare.

Tra le piccole imprese la quota è pari al 3,7 per cento, mentre per medie e grandi si scende sotto l’1.

Un aspetto di rilievo riguarda il ruolo dei giovani – e in particolare dei giovani qualificati – sulla capacità delle imprese di innovare e competere, a prescindere dal settore di attività economica.

L’analisi condotta sulla Rilevazione multiscopo associata al Censimento permanente delle imprese ha evidenziato che, nel 2022, le imprese meno interessate dal fenomeno dell’invecchiamento presentavano un’incidenza maggiore di innovatrici e una penetrazione della digitalizzazione più elevata.

PERDITA POTERE ACQUISTO SALARI A MARZO 10% SUL +RPT+

Rispetto a gennaio 2019 la perdita del potere d’acquisto per dipendente a fine 2022 era superiore al 15% e a marzo 2025 è pari al 10%.

Lo afferma il presidente dell’Istat Francesco Maria Chelli nella sua relazione alla Camera per la presentazione del Rapporto annuale sottolineando che le retribuzioni nominali non hanno ancora recuperato pienamente il loro valore rispetto all’inflazione.

Per le retribuzioni lorde di fatto per dipendente che includono gli effetti degli accordi integrativi e dei cambiamenti della composizione dell’occupazione (rpt occupazione) la perdita del potere d’acquisto è più contenuta e pari al 4,4 in Italia, al 2,6% in Francia, all’1,3% in Germania mentre in Spagna si registra un guadagno del 3,9%.

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