La ripresa italiana ha «spiazzato “i profeti di sventura”», ma cosa accadrebbe se riforme attese da anni, «essenziali per portare l’Italia verso una crescita stabile e duratura», riuscissero davvero a emergere grazie al Pnrr durante il corso del governo Draghi? Se lo chiede, Marco Fortis, docente di Economia industriale e commercio estero all’Università Cattolica.
In una lunga analisi corredata di dati, sul suo blog sull’Huffingtonpost dal titolo “Cercasi flop disperatamente. I dati contro il pessimismo sull’economia italiana», l’economista e direttore della Fondazione Edison si scaglia contro «il pessimismo sull’economia italiana andato molto di moda nei primi vent’anni del nuovo millennio» che «ha diffuso e radicato uno storytelling molto negativo secondo cui l’Italia sarebbe ormai condannata a un irreversibile declino».
Innanzitutto, è la riflessione, «la tesi che l’intero ultimo ventennio sia stato un continuo calvario per l’economia italiana è sconfessata dai fatti, essendo stato il periodo 2015-2019 un ottimo quinquennio, una specie di rinascita, grazie ad alcune prime riforme e a politiche economiche efficaci come il Piano Industria 4.0».
Inoltre, prosegue, «se in questo momento l’economia italiana si sta già riprendendo vigorosamente dopo il Covid-19, ancor prima che il Pnrr sia partito, non è soltanto per un effetto di rimbalzo, che pure in parte c’è, ovviamente, ma proprio perché le riforme e le politiche attuate in precedenza, soprattutto nel periodo a cavallo tra il 2015 e il 2017, hanno notevolmente rafforzato la nostra competitività e produttività».
Da qui parte un’analisi dettagliata che prende in considerazione le Pmi (“da sempre il vero patrimonio dell’Italia per intraprendenza, investimenti, innovazione, proiezione sui mercati mondiali”), l’industria manifatturiera (“per quanto riguarda i soli investimenti fissi lordi in macchinari nell’industria manifatturiera, nel triennio 2016-2018, l’incremento medio annuo in Italia è stato del 6,8% contro il +3,8% della Germania”).
E poi: gli investimenti in ricerca e innovazione (“In poco meno di un decennio la nostra R&S nella meccanica è cresciuta di quasi un miliardo di euro”), il commercio estero (“L’Italia ha tenuto meglio di altri competitor anche perché ha saputo diversificarsi in nuove specializzazioni”), la bilancia commerciale con l’estero (“che dal 2010 al 2021 è passata da un deficit di 40 miliardi di dollari a un surplus di oltre 82 miliardi, ponendoci al quarto posto nel G20 per attivo commerciale dopo Cina, Germania e Russia”) e la domanda interna, che “negli ultimi anni ha fatto passi in avanti nel nostro Paese, cosa mai avvenuta in precedenza nell’era dell’euro».
Insomma, snocciolando numeri e dati, con grafici e tabelle annesse, l’economista si dice convinto che «la accresciuta competitività della manifattura, la ripresa in corso dell’edilizia e l’impulso del Pnrr costituiscono un mix di fattori positivi che potrà ragionevolmente garantire all’Italia un orizzonte di crescita finalmente soddisfacente, ben diverso da quello dei primi quindici anni di questo secolo».
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