Su Repubblica Liana Milella intervista Giovanni Maria Flick, già ministro della Giustizia, docente di diritto penale e presidente della Corte costituzionale.
Professor Flick ha letto la nota del segretario di Stato Vaticano Parolin? La giudica come una marcia indietro?
«Non userei quest’espressione a proposito del rapporto tra due entità sovrane come lo Stato italiano e la Chiesa cattolica…».
E perché? A leggerla pare proprio una lettera di scuse.
«Ho difficoltà, non essendo né un diplomatico, né un esperto di relazioni internazionali, a qualificare quel documento in questo modo. Certamente segnala una volontà di superare il contrasto che si è creato. E ciò è positivo».
Nel testo della legge Zan lei vede le ragioni, citate dal Vaticano, che possono spiegare questa levata di scudi?
«Non entro nel merito dei contenuti. Ma da esperto di diritto penale rilevo che il primo requisito di una legge è la chiarezza e la comprensibilità. L’aver affiancato al concetto del sesso biologico altre tre categorie (il genere, l’identità di genere, l’orientamento sessuale) rende difficilmente comprensibile il significato del sesso come ostacolo all’eguaglianza».
Sta dicendo che anche lei critica la legge Zan?
«Certo. L’ho criticata e tuttora la critico, pur ribadendo la necessità e il valore di essa nel riempire un vuoto rispetto all’articolo 3 della Costituzione. Lo faccio perché questa legge dovrebbe limitarsi a proporre il sesso in ogni sua espressione e manifestazione al pari della religione e della razza, che non sono certo frammentate in tanti pezzi quando la Costituzione li richiama».
Perché se lei boccia la legge Zan, nello stesso tempo, è contro l’intervento della Chiesa?
«Perché, le ripeto, io come cittadino italiano posso e ho il diritto e forse anche il dovere di esprimere una mia valutazione politica. Ma la Santa sede non lo può fare».








