Il mercato italiano dei capitali “continua a essere il più fragile tra quelli dei paesi evoluti”. È quanto affermato dall’amministratore delegato di Equita, Andrea Vismara, durante il suo intervento al convegno “Gli ecosistemi finanziari e lo sviluppo del bene comune”, in corso a Milano.
I trend osservati negli ultimi anni “stanno peggiorando”. A fine 2024 “la capitalizzazione del nostro mercato borsistico rappresentava soltanto il 38% del PIL”, ha sottolineato. “Un dato che si confronta con il 51% del 2006 e che pone l’Italia come fanalino di coda tra i paesi analizzati nella ricerca di quest’anno. Per capire la magnitudo del problema, basti pensare che il dato del nostro Paese si confronta con il 90% del Regno Unito, il 120% della Francia e il 170% della Svezia”.
Durante il convegno è stato presentato il progetto di ricerca European Financial Ecosystems: Comparing France, Sweden, UK and Italy, uno studio che analizza in chiave comparata quattro ecosistemi: il modello dirigistico francese, quello socialdemocratico svedese, il sistema liberista inglese e quello bancocentrico italiano.
L’obiettivo è illustrare come ciascuno di questi paesi integri gli elementi essenziali di un sistema efficiente, ovvero legislazione e regolamentazione, tassazione, investitori e intermediari finanziari. Francia, Svezia e Regno Unito hanno tutti punti in comune: considerano i mercati dei capitali un bene pubblico, i sistemi pensionistici mostrano attenzione verso la previdenza complementare, la cultura finanziaria risulta evoluta ed esiste un supporto fiscale che sostiene strutturalmente e stabilmente il settore.
La fragilità dei nostri mercati “proviene da lontano e riflette ragioni storiche”, ha detto Vismara. “Innanzitutto, la tradizione bancocentrica del sistema finanziario italiano, che ha portato le nostre imprese a fare affidamento quasi esclusivo al credito bancario, limitando così l’accesso a fonti alternative più adatte allo sviluppo di un’economia dell’innovazione”.
Altri punti cruciali sono “un basso livello di educazione finanziaria e un pregiudizio culturale che hanno portato a investimenti subottimali da parte dei nostri risparmiatori: più della metà delle loro disponibilità sono oggi investite in beni immobiliari, con una componente significativa lasciata infruttuosamente sui conti correnti e con un peso limitato di titoli azionari e obbligazionari diversi dai titoli di stato”.
Dunque, “i cittadini italiani continuano a emergere nel contesto internazionale come ottimi risparmiatori ma non sono stati educati a diventare buoni investitori”.
A questo si aggiunge la presenza limitata di investitori domestici: “I grandi gruppi finanziari italiani investono troppo poco nelle nostre imprese: tutte le nostre banche, fondazioni, assicurazioni, fondi pensione ed enti previdenziali messi insieme rappresentano meno del 10% degli investitori nelle nostre società quotate, meno della metà rispetto al peso degli investitori domestici nei paesi finanziariamente evoluti”.
Pesa anche l’assenza di una fiscalità a favore del mercato dei capitali “ancora troppo incentrata sugli investimenti delle famiglie in titoli di stato e in beni immobiliari”, ma a oggi “non esiste un disegno strutturale di fiscalità in grado di promuovere lo sviluppo del mercato nel lungo termine. Senza una strategia sulla fiscalità, innanzitutto in Italia ma anche a livello europeo, non esiste la possibilità di far progredire i nostri mercati”, ha ribadito l’ad.
Queste criticità riflettono “la storica sottovalutazione nel nostro Paese della natura di bene pubblico dei mercati dei capitali e del loro importante ruolo sociale. Una politica ben strutturata su questi temi sarebbe la miglior garanzia per promuovere un futuro di successo per le nostre imprese, i nostri risparmiatori, i pensionati e, soprattutto, per le nuove generazioni”.
Tra i suggerimenti emersi dalla ricerca, si dovrebbero incoraggiare gli investimenti in azioni delle famiglie, così come avviene in Svezia con l’Isk, nel Regno Unito con l’Isa o in Francia con il Pea e il Pea-Pme, strumenti di risparmio che beneficiano di incentivi fiscali mirati.
Inoltre, gli investitori istituzionali e le istituzioni finanziarie statali svolgono un ruolo decisivo nella stabilizzazione dei mercati e nella canalizzazione efficiente del capitale.
Con i suoi 1.100 miliardi di euro gestiti, per esempio, la Cassa Depositi francese (Caisse des Dépots et Consignations) è stata determinante nel sostegno di investimenti strategici, così come la Cdc Croissance, specializzata nel finanziamento di PMI e mid-caps, intervenuta dove il capitale privato ha esitato.
I fondi pensione, poi, rappresentano un’altra fonte critica di capitale a lungo termine, come dimostrano Svezia e Regno Unito.
Il sistema pensionistico svedese combina fondi Ap sostenuti dallo Stato e schemi occupazionali privati, garantendo così un’ampia partecipazione al mercato dei capitali.
Il Regno Unito sta invece consolidando 86 regimi pensionistici di enti locali in otto “megafondi” da oltre 50 miliardi di sterline ciascuno, una strategia progettata per sbloccare 80 miliardi da investire in infrastrutture e imprese.
Come già avviene in Francia, Svezia e Regno Unito, l’Italia può dunque implementare iniziative molto efficaci, indipendentemente dai progressi attesi a livello europeo, anche tenuto conto della fragilità del nostro mercato dei capitali e dell’urgenza di intervenire.
La ricerca realizzata quest’anno dal Centro Baffi dell’Università Bocconi con Equita “mostra inequivocabilmente che a parità di normativa europea le strade per accelerare lo sviluppo del nostro mercato esistono. Gli esempi virtuosi di altri paesi presentano evidenti punti in comune: i mercati dei capitali sono considerati un bene pubblico, i sistemi pensionistici mostrano attenzione verso la previdenza complementare, la cultura finanziaria è diffusa ed esiste un supporto fiscale che sostiene strutturalmente il settore”, ha rimarcato Vismara.
Per l’ad di Equita bisogna “puntare a emulare esempi positivi come i paesi nordici, la Francia ed il Regno Unito, che hanno mercati molto più sviluppati del nostro”.
L’Italia “è molto indietro, deve accelerare”, ma “non basta migliorare il contesto normativo, bisogna agire con un approccio proattivo e una politica industriale e fiscale, che coinvolga tutti gli attori in uno sforzo di sistema. Le soluzioni ci sono, anche a prescindere dalla lentezza delle iniziative europee, che non possono diventare un alibi per rallentare la promozione di una strategia efficace a livello nazionale”.
“È dunque con speranza e ottimismo che leggiamo della recente iniziativa del governo di formare una cabina di regia per lo sviluppo dei mercati dei capitali. Saremmo entusiasti di dare il nostro contributo nell’auspicio che sia ben gestita e che possa portare a risvolti positivi per il nostro Paese”, ha poi concluso.








