“In un mondo che finge globalizzazione, ma riscopre il confine, l’ultimo decreto firmato dal Presidente Trump, non rappresenta soltanto una misura economica, ma un segnale ideologico, una volontà, dichiarata senza orpelli, di ridisegnare l’ordine commerciale a favore di chi produce “dentro”, penalizzando chi arriva “da fuori”.
Per chi, come me, opera con un piede in Italia e l’altro negli Stati Uniti, ciò non è un semplice cambio di regole: è una ridefinizione del campo da gioco. La nostra scelta di produrre in Usa non è solo difensiva ma strategica”.
Lo dichiara a LaPresse il fondatore di Protom Fabio De Felice.
Protom sta aprendo una linea di produzione negli Stati Uniti di colonnine di ricarica intelligenti.
L’imprenditore da anni è tra i membri italiani della task force dedicata al digitale del B20, il business forum del G20 che durante la presidenza italiana di Confindustria è stato guidato da Emma Marcegaglia.
L’azienda è una knowledge & technology-intensive company che opera in modo integrato nei settori della Digital Transformation, del Knowledge Development, dell’Advanced Engineering e dello Smart Manufacturing, supportati in questo dalle competenze dei suoi due Lab attivi rispettivamente nella ricerca e sviluppo e nell’innovazione.
Per Protom lavorano più di 280 persone nelle sedi di Napoli e Milano.
L’azienda è certificata Elite, il programma di Borsa Italiana per le aziende ad alto potenziale ed è entrata in TechShare, il programma di preparazione alla quotazione di Euronext dedicato alle società tecnologiche.
“Da tempo – spiega De Felice – operiamo nel settore della mobilità elettrica, e Protom produce colonnine di ricarica intelligenti.
Non vendiamo solo metallo, plastica e software: vendiamo un’idea di futuro.
Tuttavia cosa accade quando quel futuro, una volta attraversato l’Atlantico, si ritrova appesantito da un 15% in più?
Accade che l’innovazione, per continuare a viaggiare, deve cambiare passo.
Dobbiamo produrre localmente per restare globali.
È un paradosso solo apparente: oggi l’internazionalizzazione non passa più dai porti, ma dagli stabilimenti, ed il vantaggio competitivo si misura nella capacità di adattare il proprio modello produttivo alle geometrie mutevoli della geopolitica.
Questo scenario, per quanto difficile, a mio avviso, non è privo di opportunità.
I dazi ci obbligano a pensare strategicamente: aprire una linea di produzione negli Stati Uniti non è solo una mossa difensiva, ma un ingresso privilegiato in un mercato che oggi ha fame di infrastrutture per veicoli elettrici.
E posso dire anche di essere nel nostro piccolo, in questo contesto, dei privilegiati rispetto a imprese come quelle del Made in Italy alimentare o e della moda che hanno nella produzione in Italia un fattore identitario”.
“La Casa Bianca – sottolinea il fondatore di Protom – paradossalmente, ci mette alla porta ma lascia la finestra socchiusa: fondi federali, sussidi statali, programmi infrastrutturali.
Chi entra dalla finestra può ancora pranzare a tavola.
Negli Usa possiamo rafforzare la nostra identità: made in Italy tecnologico, affidabile, estetico, con un prodotto che unisce ingegneria e cultura del progetto.
Per noi essere in questo mercato adesso vuol dire essere costretti a scegliere”.
“E come in ogni scelta, questa tensione tra protezionismo e innovazione, tra confine e visione, cela il cuore dell’impresa moderna.
Chi produce futuro, oggi, non può restare fermo a dissertare “sui muri”, piuttosto deve lavorare per costruire ponti”, conclude De Felice.








