“L’attacco di Putin alle democrazie, la difesa a oltranza dell’Ucraina, la condanna dei massacri israeliani a Gaza, la guerra dei dazi e ora anche quella sulla tassazione delle multinazionali, il futuro delle criptovalute e quello dell’ordine finanziario basato sul dollaro, la tutela dell’ambiente e il rispetto del diritto internazionale. Non c’è un solo punto dell’agenda mondiale di lungo e di breve periodo su cui Europa e Stati Uniti vadano veramente d’accordo”.
Così Andrea Bonanni su Repubblica parlando di “lungo divorzio tra Usa ed Europa”. “Tutti, per una ragione o per l’altra, preferiscono far finta che l’Occidente che abbiamo conosciuto, e nel quale ci siamo riconosciuti, sia ancora lì, rassicurante e olimpico nella sua pretesa superiorità morale. Come certe coppie celebri in crisi, che si scambiano effusioni in pubblico mentre in privato sono già per avvocati a contendersi figli e patrimoni, americani ed europei devono districare il nodo gordiano delle loro relazioni che nessuno può, né vuole, tranciare di netto con un colpo di spada. Operazione complessa, perché intreccia questioni di breve e medio termine, come Gaza, l’Ucraina, i dazi o il riarmo Nato, con strategie di lungo periodo, come il ruolo del dollaro quale moneta di riserva globale, la ricerca di una autonomia strategica da parte europea, lo scontro titanico in corso tra lo strapotere delle grandi multinazionali e la difesa del potere statuale e democratico.
Naturalmente – osserva l’editorialista – in questa prima fase della procedura di divorzio, sono gli europei a dover fare maggiori concessioni. Tra un presidente americano che ha fatto della precipitazione la sua arma politica più distintiva, e un’Europa che cerca di ritardare il più possibile la scadenza di cambiali che dovrà comunque onorare, è chiaro che gli europei appaiono lenti, indecisi, “perdenti” per usare un’espressione cara a Trump.
In parte, lo sono. Tuttavia il divorzio che sta lacerando l’Occidente non sarà una separazione “lampo”, come piacerebbe all’inquilino della Casa Bianca. E non tutte le crepe che ogni giorno si allargano nell’edificio atlantico sono made in Usa. Naturalmente, in democrazia, il potere è contendibile e dunque tutto può cambiare.
Ma – conclude – la lezione di un Atlantico sempre più largo dovrebbe servire agli europei per capire dove finiscono i confini della nostra casa comune e dove cominciano quelli del resto del mondo, America inclusa”.








