“Ci sono tutti i fantasmi del Secolo Breve dietro la crisi diplomatica tra Germania e Russia, innescata sul fondo della guerra in Ucraina”. Così Paolo Valentino sul Corriere della Sera: “Mosca – scrive l’editorialista – accusa addirittura Berlino di star preparando un attacco contro il suo territorio. Il governo tedesco risponde bollandola come «propaganda ignobile e assurda». Occorre tornare indietro per capire perché sia proprio Berlino l’obiettivo prioritario della guerra ibrida di Putin contro l’Occidente collettivo. La Germania è da sempre il punto debole nei rapporti occidentali con Mosca. Sin dalla creazione della Nato, il cui scopo nella vulgata ufficiosa era di «tenere gli americani dentro, i russi fuori e i tedeschi sotto controllo», la Repubblica Federale ha sempre tenuto aperti i canali politici ed economici con il Cremlino.
Il peso dei crimini nazisti nell’Operazione Barbarossa, le forniture energetiche che hanno alimentato i vari miracoli dell’economia tedesca, la realtà di milioni di connazionali «in ostaggio» per mezzo secolo al di là del Muro, furono il retroterra della Ostpolitik, che da Willy Brandt in poi ha guidato la politica estera di Bonn e poi di Berlino. Con la sola eccezione di Helmut Schmidt – osserva Valentino – che invocò l’installazione degli euromissili e per questo venne sabotato nella Spd, i cancellieri tedeschi, da Kohl a Merkel, hanno seguito quella stella polare.
Nel suo tempo, Vladimir Putin se li è lavorati ai fianchi, con Gerhard Schroeder addirittura assumendolo alle sue dipendenze a fine mandato. Ma anche con Angela Merkel, che incontrò personalmente 50 volte e con la quale parlò (in tedesco) al telefono almeno tre volte tanto, il leader del Cremlino riuscì a forgiare un rapporto a tutto vantaggio degli interessi russi, uno per tutti il North Stream2.
La guerra in Ucraina ha rovesciato questo storico paradigma, ma non ha cambiato le antiche percezioni. Per quanti progressi e strappi Olaf Scholz possa intestarsi, e in fondo la Germania è quella che fornisce più aiuti economici e militari dopo gli Usa, rimane una linea d’ombra difficile da varcare. Sulla quale danzano ancora gli spettri del Novecento, quel che resta del pacifismo post-bellico e non ultimo un sentimento filorusso (quasi una sindrome di Stoccolma) ancora esistente nelle regioni della ex Ddr. Putin di tutto questo ha piena contezza e – conclude – agisce di conseguenza, in modo sempre più aggressivo, convinto di poter seminare incertezza, confusione e paura fra i tedeschi emettere il loro governo in un angolo”.








