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Ecco la Nadef, una certezza tra le incertezze | L’analisi di Giuseppe Coco

La pubblicazione della Nota di Aggiornamento al DEF elimina alcune incertezze sulla estrema preoccupazione espressa dal Ministro Giorgetti in varie occasioni pubbliche recenti in maniera piuttosto secca. I segnali sul peggioramento della nostra situazione si sono accumulati nei mesi scorsi, dalle stime al rialzo sulle spese per i vari “superbonus”, fino al crollo delle entrate fiscali a inizio anno e poi ai continui rialzi dei tassi di interesse della BCE che anche in Italia non hanno domato interamente le prospettive inflazionistiche. Tutti elementi che, dopo gli effetti positivi su deficit e debito del recupero di PIL e dell’inflazione nei due anni passati, ci hanno riportato sulla terra.

Si può dire che senza l’episodio inflattivo del 2022 e 23 probabilmente saremmo già in una situazione emergenziale, perché l’inflazione ha implicitamente svalutato lo stock di debito con interessi bassissimi emessi negli anni scorsi e inoltre ha svalutato il valore di alcune poste di bilancio (ad esempio gli stipendi pubblici in assenza totale di un recupero di potere d’acquisto). Ora il “bonus” è finito. Nei prossimi anni la spesa per interessi crescerà nelle ottimistiche stime del Ministero dell’Economi di circa 20 miliardi al 4,6% del Pil nel 2026, il che significa che anche solo per mantenere il debito stabile dovremo trovare questa cifra nel bilancio primario tra nuove tasse e minori spese. 

Il colpevole designato sarebbe la BCE che ha alzato i tassi di interesse per più di un anno e annunciato che i tassi non scenderanno comunque a breve. Si può discutere sulla velocità appropriata del rialzo dei tassi e sui livelli, ma ci si chiede se è appropriato che un paese come il nostro con un debito enorme e che dipende totalmente dai tassi di interesse, possa basare la sua politica di bilancio sull’ipotesi che tassi di interesse prossimi allo zero, una anomalia storica mai verificatasi prima nella storia moderna, possano essere la norma per un periodo di tempo infinito (lo sono stati per 10 anni!). La guerra in Ucraina, con le sue conseguenze sull’inflazione, rappresenta senz’altro un evento straordinario, ma è ragionevole, col nostro debito, formulare aspettative basandosi su una indefinita stabilità del quadro internazionale e macroeconomico?

La domanda interessante però è da dove verranno le risorse per finanziare i maggiori interessi. Non si può dire che la NADEF sia reticente al proposito, pur senza compiere scelte di politica economica. A legislazione vigente la spesa pensionistica cresce del 20 per cento da 300 a 360 miliardi nel 2026. In termini di PIL (che pure cresce anche per l’inflazione), cresce dal 15,3 al 15,9, nonostante il COVID abbia implicitamente ridotto la spesa rispetto alle proiezioni di qualche anno fa. Essenzialmente circa un terzo dell’intera spesa pubblica è spesa per pensioni, e continua inesorabilmente a crescere anche senza misure straordinarie richieste a gran voce, come l’incremento delle pensioni minime o ulteriori misure di uscita anticipata.

Ma allora dove prenderemo le risorse? Possiamo vedere senza difficoltà alcune poste macroscopiche. Le spese per lavoro dipendente della PA scendono dal 9,6% del Pil al 8,3. In altri termini, implicitamente, non solo non si prevede nessun recupero di inflazione per i dipendenti pubblici, ma probabilmente una ulteriore compressione del loro numero. I consumi intermedi scenderebbero dal 8,6 al 7,6 sempre del PIL. Infine, la spesa sanitaria dal 6,7 al 6,1. In ognuno di questi casi stiamo mantenendo constanti le spese nominali, implicitamente svalutandole data l’inflazione. Appare a dir poco ingenuo aspettarsi il mantenimento degli standard di servizio correnti. Le spese in conto capitale scendono da 150 a circa 100 miliardi l’anno invece, sono quasi dimezzate in termini di PIL. Senza intervenire in altri termini il nostro futuro è interamente ipotecato.

Tutto questo sconta che gli scenari piuttosto benigni, ad esempio di inflazione e crescita e di tassi di interesse, della NADEF si verifichino integralmente, cosa improbabile. Se ognuno dei rischi preso singolarmente può essere considerato improbabile, non è improbabile che almeno uno di essi si materializzi. Questo richiederebbe un aggiustamento ulteriore. A fronte di questi rischi la straordinaria vivacità del quadro politico italiano e le richieste e rivendicazioni che ancora i partiti avanzano sul bilancio pubblico appaiono “curiose”.

Sia quest’anno che i prossimi il nostro paese fronteggerà scelte difficili. Dovremo scegliere prima di tutto se e in che misura la nostra preoccupazione è il debito, o se come al solito vogliamo massimizzare la spesa pubblica discrezionale, come abbiamo sempre fatto in passato, correndo gravi rischi sul piano della stabilità. Dovremo però anche scegliere ad esempio se mandare in pensione anticipata altre decine di migliaia di persone e diminuire di conseguenza per l’ennesima volta la spesa sanitaria, accettando di fatto il crollo del Sistema Sanitario nazionale.

La nostra spesa sanitaria è già (in termini di PIL) molto più bassa di quella di quasi tutti i paesi avanzati, un taglio ulteriore ci porterebbe in territorio sconosciuto. Dovremo decidere se continuare a garantire l’indicizzazione (sia pur parziale) delle pensioni, mentre i dipendenti pubblici perderanno di fatto il 20 per cento del potere d’acquisto e le altre prestazioni sociali (ad esempio per la famiglia) anch’esse crollano in termini reali. Nel 2026 lo Stato spenderà esattamente il doppio in pensioni rispetto agli stupendi pubblici, nonostante la spesa pubblica aggregata sia vicina al 50% del PIL. Mi chiedo chi possa ritenere che questa sia una situazione sostenibile e che la responsabilità di una eventuale crisi di fiducia sia di soggetti esterni.

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