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Ecco il regalo di Lagarde alle banche | L’analisi

Le banche italiane sono reduci di uno dei periodi più floridi dei tempi recenti.

Negli ultimi due anni la politica monetaria restrittiva della Bce ha avuto effetti significativi sui conti economici, determinando una forte crescita dei margini.

Il fenomeno non è sfuggito ai policy maker che hanno polemizzato sui presunti extra-profitti dei gruppi, cercando senza grande successo di tassarli.

L’attenzione si è concentrata soprattutto sugli utili realizzati nell’intermediazione creditizia, grazie al differenziale tra la remunerazione degli impieghi e quella della raccolta.

Un’altra fonte preziosa, scrive MF-Milano Finanza, però sono state le riserve stanziate presso banche centrali che, solo ai cinque maggiori gruppi italiani, hanno fruttato quasi sette miliardi di interessi.

Per capire che cosa è successo è utile ricordare come funziona la politica monetaria.

La cinghia di trasmissione delle manovre espansive e restrittive sono le riserve degli istituti di credito.

Questo stock rappresenta non solo una componente della cosiddetta base monetaria (M1) ma anche una voce dell’attivo delle banche, insieme agli impieghi all’economia e agli investimenti finanziari.

Da sempre gli istituti stanziano una parte di queste riserve presso la banca centrale (che le iscrive al lato del passivo del suo bilancio, insieme al circolante) in cambio di un rendimento che viene aggiornato periodicamente dalla Bce.

Tale rendimento rappresenta la parte bassa del corridoio di tassi che guida la politica monetaria, più precisamente è il tasso sulla deposit facility.

Durante gli anni del quantitative easing e delle altre manovre espansive, le riserve registravano rendimenti nulli o negativi, quasi un unicum nella storia dei mercati finanziari.

In questo modo Francoforte voleva incentivare le banche a mettere in circolo la base monetaria, trascinando l’economia europea fuori dalla trappola della liquidità.

Nell’estate del 2022 però la rotta è cambiata.

Il tasso sulla deposit facility ha iniziato a salire per drenare liquidità dai mercati e dall’economia reale e raffreddare in questo modo l’inflazione.

L’incentivo per le banche ha funzionato.

Cosa è accaduto nel dettaglio?

Su un panel di cinque banche italiane significant (Intesa Sanpaolo, Unicredit, Banco Bpm, Bper e Mps) MF-Milano Finanza ha valutato l’impatto della remunerazione degli asset stanziabili presso banche centrali sul totale degli interessi attivi nel 2022 e nel 2023.

Sono state prese in considerazione tre voci di bilancio: i crediti verso le banche centrali (che sono parte delle attività finanziarie valutate al costo ammortizzato), la riserva obbligatoria e i conti correnti e i depositi a vista presso banche centrali (una delle componenti di cassa e disponibilità liquide).

È stato quindi calcolato l’ammontare totale medio delle esposizioni verso Bce, dato dalla somma dei crediti verso banche centrali con l’esclusione della riserva obbligatoria (perché non significativa in termini di remunerazione) e dei conti correnti e dei depositi a vista presso banche centrali.

A quel punto sono stati stimati gli interessi percepiti: nello specifico, partendo dall’ipotesi che le banche centrali remunerino allo stesso modo tutti gli istituti, è stato stimato l’ammontare degli interessi attivi percepiti quando non disponibile direttamente nei bilanci.

Gli interessi che i cinque maggiori istituti di credito italiani hanno percepito dalle banche centrali (soprattutto da Bce) sono balzati dai 430 milioni del 2022 ai 6,8 miliardi del 2023.

L’incremento è stato insomma di quasi sette volte.

Se a fine 2022 questa componente rappresentava infatti l’1,1% degli interessi attivi totali, alla fine dell’anno successivo la percentuale era schizzata all’8,3%.

Il rialzo dei tassi ha giocato un ruolo centrale: se nel 2022 gli interessi rappresentavano solo il circa 0,2% dei crediti medi annui verso banche centrali e dei depositi in Bce, lo scorso anno la percentuale era salita al 3,1%.

C’è stato però anche un significativo effetto volumi.

L’incentivo rappresentato dall’elevata remunerazione ha spinto le banche ad aumentare lo stock di liquidità depositato a Francoforte: se nel 2022 il valore medio annuo dei crediti, dei conti correnti e dei depositi a vista presso banche centrali si attestava a 194 miliardi, alla fine del 2023 l’importo si era attestato sopra 216 miliardi.

A questo trend ha contribuito anche la forte liquidità disponibile sui bilanci a seguito degli utili registrati nel 2022 e nel 2023.

La conclusione è che gli obiettivi di politica monetaria della Bce sono stati raggiunti, almeno sul fronte del sistema bancario.

Da qualche settimana però lo scenario ha iniziato a mutare.

La graduale discesa dei tassi di interesse iniziata a giugno renderà sempre meno remunerative le riserve in Bce.

Messa sotto controllo l’inflazione, l’obiettivo di Christine Lagarde è adesso quello di riportare gradualmente la liquidità nell’economia europea per spingere investimenti e crescita.

Una buona notizia per imprese, famiglie e Stati.

Forse meno per le banche.

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