Carlo Cottarelli sul Corriere della Sera prende in esame la manovra:
“Partiamo dal bello, o per lo meno da quello che mi piace. La manovra – spiega l’editorialista – non prende rischi sulla tenuta dei conti pubblici. Finiamo il 2025 con un deficit più basso dell’obiettivo del 3,3% del Pil fissato un anno fa e, mi arrischio a dire, penso che alla fine chiuderemo un po’ sotto il 3% del Pil incluso nel Dpb, uscendo in anticipo dalla procedura di deficit eccessivo iniziata dall’Unione europea nel 2024.
Per il 2026-28, viene confermato il tracciato di graduale calo del deficit definito l’anno scorso, e non sarei sorpreso se anche il prossimo anno il deficit consuntivo fosse più basso dell’obiettivo.
Di positivo c’è anche che i 18 miliardi della manovra sono utilizzati in gran parte per validi scopi. I due miliardi e mezzo per la sanità porterebbero il rapporto tra spesa sanitaria e Pil al 6,5-6,6% nel prossimo triennio, su livelli un po’ più alti di quel 6,4% a cui lo aveva lasciato il centrosinistra prima della crisi Covid.
Buono anche il ritorno a forme di sostegno dell’investimento più simili a Industria 4.0 piuttosto che al fallimentare Transizione 5.0 e le spese per la famiglia e per alleviare la povertà.
Infine, il taglio dell’Irpef, per quanto limitato ai redditi fino ai cinquantamila euro, e la detassazione degli aumenti salariali, vanno nella direzione giusta in presenza del calo dei salari reali dovuto all’inflazione del 2021-22.
Passiamo al brutto: era difficile fare altrimenti. Si tratta di una manovra molto contenuta in termini quantitativi – osserva Cottarelli – sicché anche le cose che vanno nella direzione giusta sono troppo piccole per avere un impatto significativo per la nostra economia. La manovra per il 2026 vale lo 0,8% del Pil, la metà del valore medio nel decennio precedente.
Concludo con il cattivo, ossia quello che proprio non avrei voluto vedere nella manovra: la quinta rottamazione delle cartelle. I sostenitori di questa misura sono del parere che i beneficiari siano costituiti da persone che non possono pagare quanto dovuto, per difficoltà economiche. Ma a parte il fatto che le tasse si pagano sul reddito percepito, il costante accumularsi di cartelle esattoriali indipendentemente dal ciclo economico suggerisce che chi non paga semplicemente non voglia pagare proprio perché sa di poter contare su una prossima rottamazione.”