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Ecco i passi indietro dell’Ue sull’ambiente che rischiano di frenare la decarbonizzazione | L’analisi di Sergio De Nardis

Le proposte di direttiva avanzate dalla Commissione europea riguardo agli obblighi di rendicontazione delle aziende sulla sostenibilità (CSRD) e al controllo dell’impatto ambientale delle catene di produzione (CSDD) si traducono in una significativa riduzione della platea delle imprese interessate (solo il 20% delle aziende originariamente coinvolte), in un rallentamento dei tempi di implementazione (con uno slittamento di due anni delle scadenze future), e in una limitazione della “due diligence” della CSDD ai soli partner diretti (i fornitori da cui l’impresa acquista), riducendo l’ambito rispetto alla complessità delle catene di fornitura.

Queste modifiche sembrano più un annacquamento che uno snellimento. Se l’intento fosse stato semplificare e uniformare gli standard tecnici, per migliorarne coerenza, trasparenza e facilità informativa, sarebbe stato necessario un approccio diverso.

Invece, si è optato per una “liberazione” della maggior parte delle imprese dagli obblighi regolamentari, in nome della competitività industriale. Le direttive fanno parte del Green Industrial Deal che ribadisce gli obiettivi verdi europei, ma li inserisce in un contesto regolatorio sensibilmente cambiato.

Ci si chiede se simili cambiamenti saranno dannosi. Il rischio esiste. Sebbene i benefici a breve termine per le imprese, derivanti dalla riduzione dei costi di compliance, possano sembrare allettanti, potrebbero essere sopravvalutati (e ci si interroga sull’effetto delle norme CSRD, che sono state introdotte gradualmente a partire dal 2023, sulla crisi dell’industria europea degli ultimi anni). Tuttavia, le conseguenze per la transizione verde potrebbero essere rilevanti.

Un elemento cruciale per il percorso verso la decarbonizzazione è il ruolo che il canale finanziario deve assumere nell’orientare gli investimenti verso attività a basso impatto ambientale. Dei 750-800 miliardi di investimenti annuali previsti dal piano Draghi, la maggior parte dovrà provenire dai capitali privati.

Questi investitori necessitano di un quadro normativo chiaro, con regole stabili, e di informazioni omogenee, sicure e certificate sull’esposizione delle imprese al danno ambientale. Questo, purtroppo, sembra essere compromesso dalla proposta della Commissione, che rischia di sacrificare un elemento essenziale della decarbonizzazione in nome della semplificazione burocratica.

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