A anni dall’avvio dell’unione bancaria mancano all’appello molti tasselli.
Eppure l’urgenza di attuare un progetto così ambizioso è stata sottolineata lo scorso aprile da Enrico Letta, nel suo rapporto sul futuro del mercato unico commissionato dal Consiglio europeo nel 2023.
Infatti le transizioni ecologiche e digitali, la crisi demografica e l’invecchiamento della popolazione richiederà, come sottolineato di recente dall’Abi, centinaia di miliardi d’investimenti che le sole risorse pubbliche non saranno in grado di finanziare.
Occorre dunque mobilitare a livello europeo le risorse private e il ruolo delle banche in questo è centrale.
Quanto alla unione bancaria, si celebra quest’anno il decennale del meccanismo di vigilanza unico che ha accentrato in capo alla Banca Centrale Europea la vigilanza sui maggiori istituti bancari europei.
Si è trattato di una svolta epocale consentita dal trattato sul funzionamento dell’unione europea (art. 127), ma attuata in ritardo.
Ciò a causa della resistenza di molti Stati a rinunciare al controllo diretto sulle banche nazionali.
Delegare alla Bce decisioni che incidono sull’operatività e sulla stessa vita di ben 111 istituti di credito che rappresentano l’82% degli attivi di tutte le banche europee (dati al 2023) significa in effetti abdicare a un pezzo di sovranità.
Solo la crisi finanziaria del 2008-2012 ha consentito di far partire la unione bancaria, che si basa anche su due altri pilastri: il meccanismo unico di risoluzione delle crisi bancarie attuato nel 2015; un sistema europeo di garanzia dei depositi, ancora da realizzare.
Il meccanismo di vigilanza unico mirava ad accrescere la stabilità del sistema bancario in una logica di integrazione.
La vigilanza accentrata in capo alla Bce era volta anzitutto a superare gli atteggiamenti troppo tolleranti (tolleranza) da parte dei regolatori di ciascun Paese.
Occorreva poi superare la frammentazione dei mercati finanziari a livello europeo che minacciava di compromettere l’integrità della moneta unica e del mercato interno.
Doveva essere altresì rotto il legame a doppio filo che lega la crisi di istituzioni finanziarie che detengono quantitativi elevati di titoli pubblici a quella dei debiti sovrani (il doom loop).
Quanto alla stabilità del sistema bancario, nel decennio scorso la Bce ha promosso la patrimonializzazione degli istituti di credito.
Sono così migliorati i coefficienti patrimoniali (Cet1) e di leva finanziaria, gli indici di copertura della liquidità (liquidity cover ratio) e il peso dei non-performing Loan.
Del resto la resilienza degli istituti di credito è emersa nella fase più critica della pandemia da Covid19.
Le banche non solo hanno retto la crisi, ma hanno anche sostenuto l’economia reale senza interrompere il flusso dei finanziamenti.
Persiste invece la frammentazione del sistema bancario nell’area euro, come sottolineato in una recente intervista da Andrea Enria, ex presidente del Consiglio di vigilanza della Bce.
Il sistema bancario è rimasto infatti una mera raccolta di settori bancari nazionali.
Non si è dunque verificata l’integrazione transnazionale dei gruppi bancari e ciò riduce la possibilità di una condivisione del rischio privata.
Quest’ultimo consiste nel fatto che le perdite subite in uno Stato membro che versi in difficoltà economica possono essere sostenute all’interno di banche di dimensione europea dagli utili conseguiti in un altro Stato membro.
Il fallimento di questo obiettivo è dovuto anche all’assenza di un vero mercato europeo dei capitali che consentirebbe alle banche europee di gestire in modo più efficiente i propri bilanci.
Si pensi soltanto alla possibilità di cartolarizzare i prestiti erogati e distribuirli a livello europeo agli operatori di mercato attraverso strumenti liquidi.
Da qui il nesso tra unione bancaria e unione dei mercati dei capitali.
Meno positivo è il giudizio sul meccanismo di risoluzione unico, come dimostra anche il caso delle banche venete abbandonate al loro destino perché prive di rilevanza sistemica a livello europeo.
È peraltro in corso un ripensamento proprio allo scopo di consentire anche agli istituti di credito di dimensioni minori di essere ammessi alla risoluzione, evitando così la procedura di liquidazione.
Di là da venire è invece il sistema europeo di garanzia dei depositi.
La percorribilità politica della condivisione dei rischi bancari (risk sharing), è infatti legata alla riduzione dei rischi (risk reduce) non solo bancari, ma anche degli Stati sovrani più indebitati.
Da qui l’importanza anche del patto di stabilità e crescita recentemente riformato.
La unione dei mercati dei capitali è rimessa invece alla nuova Commissione europea nominata dopo le elezioni di giugno e non sarà facile attuarla.
C’è da augurarsi però che i tempi di costruzione del nuovo edificio, tra veti e titubanze, non superino quelli della Sagrada Familia.








