“È un tentativo ambizioso ma al momento sembra più una dichiarazione d’intenti che una vera riforma operativa”.
Così l’avvocato e giuslavorista, Fabrizio Daverio, fondatore dello studio legale Daverio & Florio, commenta la proposta di legge d’iniziativa popolare n. 1573 (disegno di legge n. 1407 già approvato dalla Camera dei deputati in data 26 febbraio 2025) concernente la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende, approdata in Senato.
Il provvedimento disciplina quattro ambiti di partecipazione: gestionale, organizzativa, economico-finanziaria e consultiva.
Secondo il testo, l’obiettivo è “rafforzare la collaborazione tra datori di lavoro e lavoratori, preservare i livelli occupazionali e valorizzare il lavoro”.
Il testo prevede che i lavoratori possano essere nominati nei Consigli di amministrazione o nei Consigli di sorveglianza. Un passo simbolicamente forte: “Sarebbe l’ingresso dei lavoratori nella stanza dei bottoni”, nota Daverio, “ma la legge si limita a prevedere la possibilità, non l’obbligo. Anche qui la scelta è lasciata alle imprese e ai contratti collettivi”.
Per l’esperto il nodo sta e starà nella sua reale applicazione: “Il disegno di legge specifica che gli statuti societari possono prevedere la partecipazione dei lavoratori. La norma è facoltativa, non automatica né cogente. Rischia di restare inapplicata”, sottolinea Daverio.
A rendere ancora più complessa l’applicazione è il doppio vincolo: non basta la volontà della singola azienda, serve anche una previsione nei contratti collettivi, sebbene anche a livello aziendale.
Per l’avvocato, “tale intreccio normativo rende difficile la concreta attuazione. Sembra quasi che il Legislatore stesso non creda fino in fondo nella riforma”.
E richiama l’attenzione sulle resistenze ideologiche ancora presenti: “Da una parte c’è chi, nel mondo sindacale, preferisce una logica di conflitto e di battaglia piuttosto che di collaborazione. Dall’altra, alcune imprese temono che la governance venga condizionata da logiche sindacali”.
Sta di fatto che la strada indicata dalla Costituzione è quella della collaborazione.
La legge prevede per il 2025 un innalzamento del tetto di applicazione della tassazione agevolata da 3.000 a 5.000 euro per chi riceve premi legati agli utili aziendali, a condizione che superino il 10% del totale e che ciò sia previsto in un ulteriore accordo sindacale anche aziendale.
“Un incentivo positivo” – commenta Daverio – “ma resta isolato e non accompagnato da una strategia di lungo periodo”.
Quindi è da notare che, nel caso di aziende che optassero per tale “redistribuzione”, non mancherebbe il contributo statale consistente nella agevolazione fiscale.
C’è anche la possibilità di ricevere premi in forma azionaria, con parziali esenzioni fiscali. Ma le modalità sono poco chiare: “Serviranno circolari esplicative per capire se sarà davvero vantaggioso”, spiega Daverio.
Il testo introduce la facoltà per le aziende di creare commissioni paritetiche per proporre innovazioni organizzative e gestionali.
Inoltre, vengono suggerite nuove figure aziendali dedicate a formazione, welfare e inclusione.
“Si tratta di buone intenzioni, che rischiano di rimanere sulla carta”, avverte l’avvocato.
La legge prevede che i sindacati “possano essere consultati preventivamente” sulle decisioni aziendali, e che le commissioni paritetiche possano contribuire con materiali e proposte.
A fronte di quanto detto sopra, la proposta di legge si pone come un’occasione storica o ennesima illusione?
Per Daverio, “siamo a un bivio: questa legge può rappresentare un primo passo verso una reale democrazia economica, ma solo se imprese e parti sociali sapranno cogliere l’occasione. Altrimenti, sarà una occasione persa”.








