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Sergio De Nardis (economista): «Il governo tecnico di Draghi spegne il conflitto politico e favorisce il non voto»

C’è una contraddizione tra il preoccupato lamentarsi della massiccia disaffezione evidenziata dall’astensione alle elezioni comunali (che dovrebbero sollecitare più partecipazione) e il desiderare che il governo Draghi duri più a lungo possibile.

La leadership tecnica di Draghi spegne, c’è poco da fare, quella componente del funzionamento democratico che ha nella contrapposizione di interessi e visioni un elemento cardine. Se si vuole Draghi è proprio perché si desidera tenere sotto coperchio quel tipo di competizione: se ne temono gli effetti sull’economia (dai tassi al Pnrr).

Ma l’impotenza dei partiti produce astensionismo. Votano solo i fedeli e i centristi più o meno consapevoli; finiscono col vincere i più vicini alla linea del governo tecnico. Lo spegnimento della dialettica partitica è connaturato a ogni governo di emergenza a predominanza tecnocratica. Lo è stato per Monti nella crisi finanziaria, lo è per Draghi in quella sanitaria. Ma vi è una differenza profonda tra le due esperienze che si esplica nelle politiche economiche perseguite: austerità contro espansione fiscale.

È per questa differenza che il governo Draghi può imbarcare, diversamente da Monti, quasi tutti i partiti. Non è, però, una differenza tra tecnocrazie che si ispirano a visioni opposte. È la visione della tecnocrazia che, da Bruxelles a Francoforte, è cambiata negli ultimi anni.

La presa d’atto degli errori passati, con il connesso diffondersi degli impulsi sovranisti, unitamente al sostegno di un corposo ripensamento teorico mainstream su politica economica e debito hanno contribuito a un simile mutamento. Anche per questo non c’è da meravigliarsi se i tecnocrati di ieri (austerità) siano in buona parte gli stessi di oggi (espansione fiscale).

Tuttavia un governo tecnico pur di ispirazione keynesiana non è per sua natura ben posizionato nel dare rappresentazione all’ampio bacino dei perdenti, impoveriti dalle ripetute crisi e danneggiati da cambiamento tecnologico e delocalizzazioni.

Le domande a cui fornì una risposta di destra la stagione del populismo non sono sparite, sono ancora lì sotto la cenere, semmai inasprite dalla pandemia. Oggi vincono le più affidabili forze filogovernative, ma cosa succederà quando si solleverà il coperchio del governo tecnico? Il Pnrr è la risposta prodotta dalla tecnocrazia. Può essere adeguata se riesce a dare risultati tangibili in tempi brevi, preoccupandosi di assicurare la più ampia inclusione (ammortizzatori e politiche attive) ai benefici dello sviluppo.

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