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Dazi Usa: stangata fino a 160 euro annui per le famiglie italiane | Lo scenario di Unimpresa

L’introduzione dei nuovi dazi statunitensi sui beni importati dall’Italia avrà un effetto stangata che costerà alle famiglie fino a 160 euro annui.

È quanto calcola il centro studi di Unimpresa, secondo cui l’incremento dei prezzi cagionerà una maggiore spesa complessiva per i nuclei familiari italiani, pari a un valore compreso tra 2,5 e 4,2 miliardi di euro all’anno.

Secondo l’associazione, ci saranno degli “effetti a catena sull’intera economia nazionale, andando oltre le imprese esportatrici e colpendo direttamente i bilanci delle famiglie italiane. La stretta imposta dall’amministrazione americana comporta, infatti, una serie di rincari che potrebbero tradursi in un aumento dell’inflazione tra lo 0,3% e lo 0,5% su base annua”.

L’impatto dei dazi sulle imprese italianesi preannuncia pesante: secondo le prime stime, le esportazioni verso il mercato statunitense (il terzo per volumi, con 68 miliardi di euro nel 2024) potrebbero ridursi tra 5,6 e 8 miliardi di euro nel 2025, pari a un calo dell’8-12%, con una contrazione del Pil stimata tra lo 0,28% e lo 0,4%”.

A soffrire maggiormente saranno le piccole e medie imprese, che rappresentano il 60% delle 23mila aziende italiane esportatrici verso gli Usa.

Le Pmi rischiano di subire fino al 70% delle perdite totali, per un ammontare compreso tra 3,9 e 5,6 miliardi di euro, a causa della limitata capacità di assorbire i maggiori costi o spostare la produzione.

Secondo il centro studi di Unimpresa, considerando che in Italia ci sono circa 25,8 milioni di famiglie residenti, l’impatto medio su ciascun nucleo può variare tra i 97 e i 163 euro annui.

I settori maggiormente coinvolti sono quelli già in parte colpiti dall’inflazione nei mesi scorsi: in particolare l’agroalimentare, che subirà una crescita dei prezzi al dettaglio stimata fino all’1%.

Il solo comparto alimentare, sommando l’effetto diretto sui beni importati dagli Stati Uniti e quello indiretto dei dazi sull’export italiano, può comportare un aggravio di spesa per le famiglie di circa 1,6 miliardi di euro, pari a circa 62 euro annui a famiglia.

L’aumento dei prezzi alla produzione e nei canali distributivi potrà riflettersi anche su altri settori come l’abbigliamento, la meccanica di consumo e i beni per la casa.

Inoltre, l’inflazione in risalita potrebbe spingere la Banca centrale europea a rinviare eventuali tagli dei tassi di interesse, mantenendo elevato il costo dei finanziamenti e dei mutui a tasso variabile, con ulteriori effetti negativi sulla capacità di spesa delle famiglie.

L’effetto domino dei dazi Usa potrebbe incidere significativamente sul potere d’acquisto dei consumatori italiani. Anche uno scenario di medio impatto, con rincari distribuiti su vari settori e una crescita generalizzata dei prezzi, rischia di tradursi in un’ulteriore pressione sul costo della vita, già appesantito da energia, carburanti e inflazione post-pandemica.

L’aumento delle tariffe doganali negli Usa, inoltre, corre il rischio di avere conseguenze importanti sull’economia italiana, in particolare su quelle imprese che esportano verso il mercato americano, che è il terzo per importanza dopo Germania e Francia.

Nel 2024, l’Italia ha esportato beni per un valore di 68 miliardi di euro negli Stati Uniti. Nel 2025 queste esportazioni potrebbero diminuire tra i 5,6 e gli 8 miliardi di euro, pari a un calo dell’8-12%. Questo significherebbe una riduzione del Prodotto interno lordo italiano tra lo 0,28% e lo 0,4%.

A essere più colpite saranno soprattutto le piccole e medie imprese (Pmi), che rappresentano circa il 60% delle 23mila aziende italiane che vendono negli Stati Uniti. Per queste realtà sarà molto più difficile assorbire i costi dei dazi o delocalizzare la produzione all’estero.

Le Pmi potrebbero subire fino al 70% delle perdite, cioè tra 3,9 e 5,6 miliardi di euro. Cercare mercati alternativi richiederà tempo e investimenti: da 2 a 3 anni e tra gli 800 milioni e 1,2 miliardi di euro, con la possibilità di recuperare quei soldi solo dal 2027 in poi, con un rendimento stimato tra il 4% e il 6% annuo.

Entrando nel dettaglio dei settori più coinvolti, ecco le stime per i vari comparti:

  • Agroalimentare: Nel 2024, l’export verso gli Stati Uniti è stato di 7 miliardi di euro. Con i nuovi dazi, nel 2025 si prevede una perdita di circa 742 milioni di euro (-10,6%). A lungo termine, il calo potrebbe arrivare a 2,3 miliardi (-33%). I settori più colpiti sono il vino, con una perdita stimata di 660 milioni di euro e 900 cantine a rischio, e i formaggi, con un danno previsto di 380 milioni di euro.
  • Meccanica e macchinari: Nel 2024, l’export è stato di 12,5 miliardi di euro. Le tariffe potrebbero ridurre le vendite del 15,8% già nel 2025, pari a 2 miliardi in meno. Entro il 2028, la perdita potenziale potrebbe salire a 5,8 miliardi di euro. Le circa 4.500 aziende del settore, che impiegano 180mila persone, vedranno anche un aumento dei costi per l’importazione di componenti dagli Stati Uniti.
  • Moda e abbigliamento: Il comparto ha esportato 3 miliardi di euro nel 2024. L’impatto stimato per il 2025 è una riduzione dell’export dell’11,9%, pari a 357 milioni di euro. Entro il 2027, le perdite potrebbero toccare 1,2 miliardi di euro. I distretti calzaturieri marchigiani e la pelletteria toscana saranno particolarmente colpiti.
  • Automotive: Le esportazioni di auto e componenti nel 2024 sono state pari a 6,1 miliardi di euro. I nuovi dazi del 25% potrebbero provocare un crollo delle vendite verso gli Stati Uniti del 19,8% nel 2025, pari a 1,2 miliardi di euro, con un impatto che, entro il 2030, potrebbe arrivare a 3,6 miliardi di euro.
  • Chimica e farmaceutica: Nel 2024, il settore ha esportato 5,2 miliardi di euro. Le perdite previste per il 2025 sono di circa 411 milioni di euro, che potrebbero salire a 1,2 miliardi di euro entro il 2027. Le 900 aziende del settore dovranno affrontare anche un aumento dei costi per le materie prime importate dagli Stati Uniti.
  • Metallurgia e prodotti in metallo: Con 4,8 miliardi di euro esportati nel 2024, il settore potrebbe perdere il 13,2% nel 2025, pari a 634 milioni di euro. La zona più colpita sarà quella dell’acciaio bresciano, che da sola rischia perdite per 444 milioni di euro e vede a rischio 120 aziende.
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