E alla fine il 15% fu! Nell’incontro domenicale in Scozia, i presidenti Trump e von der Leyen hanno chiuso l’accordo (salvo dettagli) sui dazi che i prodotti europei dovranno pagare all’importazione negli USA. La tattica negoziale da souk di Trump ha funzionato: dopo aver imposto il 10% di base, ha minacciato di applicare il 30% dal primo agosto, e alla fine sono tutti contenti di pagare il 15%.
Che è invece un’aliquota pesante, superiore al 10% concordato dalla Gran Bretagna. Ma soprattutto è stato sdoganato il nuovo principio che i dazi si possono utilizzare anche per punire produttori più efficaci (sulla qualità) o più efficienti (sui costi).
Di buono (si fa per dire) c’è che la stessa aliquota sarà applicata anche al settore automotive, che rischiava il tracollo.
Siamo tornati indietro di 80 anni, all’epoca dei nazionalismi della Prima e della Seconda guerra mondiale, e nessuno fa una piega.
Il 15% verrà probabilmente ripartito fra i produttori europei e gli importatori americani, che ridurranno proporzionalmente i loro margini, e i consumatori finali, che pagheranno una parte del dazio con l’aumento dei prezzi finali.
L’inflazione aumenterà conseguentemente, ma solo di qualche zero virgola.
Le esportazioni europee verso gli USA subiranno un rallentamento (o forse anche un calo) e la produzione americana un corrispondente aumento.
Ma nulla di significativo, certo non in grado di spostare l’economia dei due continenti.
I danni maggiori li vedremo, da ambo le parti dell’oceano, nel medio-lungo termine.
Ma nel medio-lungo termine, amava dire Keynes, saremo tutti morti.








