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Dazi e guerre, fare fronte comune | L’analisi di Paolo Mieli

Le cose cambieranno – scrive Paolo Mieli sul Corriere della Sera – solo se e quando (potrebbe accadere già oggi) Donald Trump metterà anche Mosca nel mirino della sua politica daziaria.

Spingendosi a imporre una gabella del 500% ai Paesi che acquistano gas, petrolio e uranio dalla Russia come prevede il disegno di legge del senatore Lindsey Graham.

Solo allora dovremo riconsiderare il discorso. Ma solo in parte.

Al momento, comunque, gli alti dazi imposti da Trump all’Europa per la loro valenza politica costituiscono la prova che lo stretto rapporto tra il presidente degli Stati Uniti e quello russo tiene.

Per quanto gli europei possano trattare nelle prossime due settimane è improbabile che quel 30% scenda in misura da renderlo accettabile per le nostre economie.

E, a ogni evidenza, Trump conta sulla prospettiva che i Paesi del nostro continente, sottoposti a pressione dai loro apparati economici e dalle opposizioni filorusse vadano da lui, ognuno per conto proprio, a pietire un trattamento di favore. Che, forse, otterranno.

Allo scopo di poter essere additati come esempio per i loro atti di sottomissione. Così da mettere in fibrillazione gli altri Paesi europei che invece si saranno fin lì mantenuti uniti. E mandare in frantumi proprio questa unità.

Tutto ciò accade perché l’ultima settimana ha dimostrato quanto tenga, al di là di ogni aspettativa, il legame tra quel che resta del fronte occidentale e Volodymyr Zelensky.

Imperniato, questo asse, su Francia, Germania, Polonia ma anche Gran Bretagna e Canada. Ai quali si aggiungono i Paesi dell’Europa settentrionale.

E, fino ad oggi, anche l’Italia (compresa una parte non irrilevante dell’opposizione).

Poco, rispetto a come il quadro complessivo si presentava fino a un anno fa.

Ma sufficiente a dotare l’Ucraina della deterrenza necessaria per resistere e potersi eventualmente sedere — a fronte alta — ad un tavolo della pace.

Tavolo che però al momento non si intravede neppure all’orizzonte. La trattativa sui dazi è, ad ogni buon conto, una trattativa politica. E il fare fronte comune val bene qualche sconto in meno.

Noi la definiamo «guerra d’Ucraina». Ma qui, da tempo è in gioco l’Europa.

In particolare, la sua capacità di diventare adulta come soggetto politico, districandosi tra i lacci che essa stessa si è data.

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