L’ordinanza del Tribunale di Bologna «è un incentivo, un pungolo per la Pubblica Amministrazione a innalzare i livelli di sicurezza», dice Enrico Al Mureden, professore ordinario di Diritto civile nell’Università di Bologna, a proposito della recente decisione del giudice civile che, sulla base di un ricorso presentato dai residenti dell’area del Ravone, ha imposto a Regione e Comune di prevedere garanzie per 3,6 milioni per possibili danni futuri. Lo spiega il professore, nostro autore, a Repubblica, nell’edizione di Bologna.
«C’è una norma, l’articolo 1172 del Codice civile, che da sempre disciplina questa figura: consente di prevenire o contenere danni altamente probabili prima che si verifichino, per agire prima che sia troppo tardi».
«Il risarcimento dei danni, previsto dall’articolo 2043 del Codice civile, riguarda danni già avvenuti e ormai irreparabili, risarciti mediante il ristoro economico della vittima». Il danno temuto, invece, presuppone una situazione di pericolo oggettivo e probabile, e serve sia a prevenire il peggio sia a garantire risarcimenti se il danno dovesse comunque verificarsi. Quindi esercita una pressione su chi è potenzialmente responsabile, inducendolo a rafforzare le misure di sicurezza e comportarsi in modo da scongiurare o almeno mitigare le conseguenze negative. È interessante notare che in questa vicenda il pericolo non è nuovo, ma risale ad almeno dieci anni fa: già allora c’erano episodi che facevano presagire il rischio. Su questo tema s’intrecciano norme nazionali ed europee che impongono alle istituzioni di proteggere l’integrità idrogeologica dei territori. Le norme del Codice civile del 1942 – che ricalcano quelle già presenti nel Codice del 1865 e risalenti al diritto romano – costituiscono nel contesto attuale solo un tassello di un mosaico nel quale domina il principio di precauzione: meglio agire subito, anziché aspettare che i danni si verifichino.
«Quei soldi costituiscono un fondo per risarcire eventuali danni futuri. La Regione e il Comune, a cui compete la gestione del territorio, dovranno probabilmente ripartirsi questo onere».
«È un segnale molto importante. Innanzitutto perché riconosce una relazione di pericolo tra un bene demaniale, il fiume, e i beni privati. Inoltre, il giudice ha escluso che l’evento sia stato eccezionale: oggi – in un’epoca caratterizzata da cambiamenti climatici – l’eccezionalità viene valutata scientificamente, considerando la frequenza degli eventi e i dati disponibili, e non più in modo puramente empirico come avveniva un tempo. Questo riflette una forte interazione tra scienza, tecnologia e diritto. Per le alluvioni 30-40 anni fa nessuno avrebbe mai ipotizzato di intraprendere un’azione legale, erano considerate fatalità. Questa vicenda dimostra che la responsabilità civile è una leva potente per aumentare la sicurezza. Oggi la legge impone alle istituzioni obblighi specifici per tutelare persone, ambiente e territorio».
«È una sentinella di un cambiamento ormai inesorabile. La normativa europea ha moltiplicato i doveri delle istituzioni, e quando gli incidenti accadono questi doveri diventano il terreno su cui attecchisce la responsabilità civile. Il danno viene comunque socializzato: prima o dopo la collettività lo paga, quindi meglio prevenirlo».








