Quando Donald Trump annuncia dazi sul Giappone e sulla Corea del Sud, l’errore più grande – commenta Mario Sechi su Libero – è quello di concentrarsi sulla percentuale delle tariffe, sugli indici di Wall Street, sui commenti degli economisti.
Non ne hanno azzeccata una fino a oggi e il motivo è semplice: separano il commercio dalla geopolitica, ragionano su un mondo senza barriere che non è mai esistito, neppure quando la globalizzazione galoppava.
Eppure, i nomi di Tokyo e Seul dovrebbero suggerire qualcosa: il Giappone è l’alleato più importante degli Stati Uniti in Asia dal 1945, la Corea del Sud è una nazione che dalla fine della guerra coi comunisti del nord di Pyongyang costituisce una barriera armata di tutto punto dall’America.
Nel mondo di ieri Trump non avrebbe mai annunciato dazi (con questa veemenza) contro i suoi alleati, ma il mondo di oggi è completamente diverso: è dominato dall’insicurezza e dal ritorno dello scontro tra le grandi potenze.
I dazi sono solo uno strumento per cercare di riequilibrare le relazioni commerciali, rendere più leggero per gli Stati Uniti il bilancio del Pentagono (mille miliardi di dollari) e la spesa interna che nella politica trumpiana è associata sempre alla sicurezza.
Washington deve contrastare l’assalto di Pechino e, sapendo di poter contare su una impareggiabile leva militare con gli alleati, può permettersi perfino di aprire una guerra commerciale con il Giappone e la Corea del Sud.
Come finirà? Non lo sappiamo.
Ma da tutto questo discende che gli Stati Uniti sono gli architetti di un nuovo mondo.
Gli europei non capiscono cosa sta accadendo, perché hanno rinunciato da tempo a pensare secondo categorie politiche e si affidano alla partita doppia degli economisti, i più ciechi di tutti in questi decenni.
I consiglieri della Casa Bianca hanno in mente un Grande Gioco, sono abituati a muovere i pezzi sulla scacchiera dall’Atlantico al Pacifico, controllano le rotte dell’energia e delle materie prime (nessuno ha capacità di proiezione navale come il Pentagono) e stanno sparecchiando il tavolo del vecchio mondo per imbandirne uno nuovo.








