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Da maturità a esame di stato: ci abbiamo davvero guadagnato? | L’analisi di Umberto Galimberti

Si stanno svolgendo in Italia gli esami di maturità che dal 1997, ricorda Umberto Galimberti su Repubblica, con la riforma della scuola attuata dal Ministro Luigi Berlinguer, oggi si chiamano esame di Stato.

In questo caso non si tratta solo di un innocuo cambio del nome, ma di una precisa limitazione del compito della scuola alla sola istruzione.

Quel che resta fuori, e che invece la parola maturità comprendeva, è l’educazione.

Il cambio del nome è stato opportuno perché la scuola italiana istruisce, ma non educa.

Dico questo perché l’istruzione è una trasmissione di contenuti culturali e scientifici da chi li possiede (gli insegnanti) a chi non li possiede (gli studenti); l’educazione invece accompagna gli studenti, in quella stagione incerta che si chiama adolescenza, nel loro percorso di evoluzione psicologica, mai così problematico e turbolento come in quell’età.

Si è soliti pensare che l’educazione altro non sia che un derivato dell’istruzione.

Ma le cose non stanno così.

È semmai l’istruzione un evento che può realizzarsi solo a educazione in corso, perché, come diceva Platone, “la mente non si apre se prima non hai aperto il cuore”.

Ma quanti sono gli insegnanti che aprono il cuore?

E quanti si limitano a svolgere i programmi ministeriali senza nessuna empatia per i loro studenti?

L’educazione è essenziale perché, a differenza degli animali, gli uomini non hanno istinti, che sono risposte rigide a uno stimolo, ma solo pulsioni a meta indeterminata, per cui, ad esempio, una pulsione aggressiva può esprimersi nella violenza ma, se educata, può tradursi in una seria presa di posizione.

La mancata educazione delle pulsioni confina i ragazzi a esprimersi solo con i gesti violenti, invece che con le parole e i ragionamenti.

I sentimenti non li abbiamo per natura, ma per cultura.

I sentimenti si imparano.

Per educare è necessario comporre classi di 12 o al massimo 15 studenti.

Se invece le classi sono di 30 studenti, allora si è deciso a priori che l’educazione non è prevista tra i compiti della scuola.

Se nelle nostre scuole è prevista solo l’istruzione e non l’educazione, trovo opportuno, ma anche mortificante, che l’esame finale non si chiami più “maturità” bensì “esame di Stato conclusivo del corso di studio di istruzione secondaria superiore”.

È triste vero?

Ma almeno questa dizione dice la verità sulla nostra scuola.

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