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Da Matteotti a Panetta, la mancata riduzione del debito pubblico italiano | L’intervento di Beniamino Piccone

Nelle prime Considerazioni Finali da governatore di Bankitalia Fabio Panetta non ha mancato di far sentire la sua voce sul tema del debito pubblico, “elevato, frutto di squilibri accumulati in passato”.

Il riferimento al passato ci aiuta a condurre il lettore ad analizzare – a 100 anni dal suo assassinio di ordinato da Benito Mussolini – quali riflessioni fece Giacomo Matteotti, parlamentare di spicco e segretario allora del Partito Socialista Unitario.

Un interessante volume di Francesco Tundo – ‘La riforma tributaria. Il metodo Matteotti’ (Bologna University Press, 2024) – si concentra sulla concezione del fisco dello statista di Fratta Polesine.

Per Matteotti la questione fiscale era vitale per lavorare a favore di equità e uguaglianza.

Il sistema tributario era da considerarsi uno strumento per incentivare il cambiamento.

La base della riforma tributaria di Matteotti non ha perso di attualità poiché il nostro sistema tributario manca di progressività.

Sono sempre di più i redditi – da capitali, da locazioni, per esempio – che escono dalla tassazione Irpef progressiva e vengono assoggettati a una tassazione separata inducendo una frammentazione delle basi imponibili.

E senza progressività non c’è giustizia distributiva.

Sarà ben difficile vedere il governo Meloni venir meno alla consueta accondiscendenza alle istanze dei ceti privilegiati – alias commercianti, balneari, farmacisti, taxisti – quelli che un tempo Matteotti chiamava “pescecani o rentier”.

Va detto che Matteotti, laureato in Giurisprudenza, nel corso della stesura della tesi (titolo emblematico: ‘La recidiva.

Saggio di revisione critica con dati statistici’) si avvicina alle scienze sociali e alla statistica.

Agli studi economici verrà introdotto dal fratello Matteo, che frequentò con Luigi Einaudi il Laboratorio di Economia Politica di Salvatore Cognetti de Martiis all’Università di Torino.

La successiva esperienza di consigliere comunale e provinciale a Rovigo gli fa toccare con mano anche le questioni tributarie dell’economia comunale, dove è necessario fare economia fino all’osso senza accendere debiti.

La visione di Matteotti era improntata al rigore dei conti.

Il direttore di MF Roberto Sommella ricordava alcuni giorni fa un intervento alla Camera di Matteotti con in mano una tabella che illustrava l’andamento crescente del fabbisogno.

Panetta nel capitolo intitolato ‘Una migliore qualità dell’azione pubblica’ ha chiosato così: “Affrontare il tema del debito richiede un piano credibile, volto a stimolare la crescita e la produttività e nel contempo a realizzare un graduale e costante miglioramento dei conti pubblici”.

Il Patto di Stabilità prescrive un rapporto debito-Pil inferiore al 60%.

Siccome siamo in area 137%, la traiettoria dovrebbe essere stabilmente discendente.

Il beneficio della riduzione del rapporto debito-Pil si avrebbe anche a livello di interessi da pagare.

Panetta sottolinea che “quanto più la prospettiva di riduzione del debito sarà credibile, tanto minori saranno i rendimenti che gli investitori chiederanno per detenerlo”.

In linea col pensiero di Matteotti, Panetta invita chi governa a intervenire “dal lato della spesa al fine di riorientarne la composizione in favore dello sviluppo e di eliminare le inefficienze”.

Tornano in mente le azioni di Tommaso Padoa-Schioppa – in veste di ministro del Tesoro – dirette a riqualificare la spesa pubblica riducendo la spesa corrente a favore degli investimenti purché avessero un buon rapporto costi-benefici.

La battaglia contro il debito pubblico sarà vinta solo quando i contribuenti – circa il 55% della popolazione, secondo le analisi di Itinerari Previdenziali di Alberto Brambilla, ahinoi – daranno il loro sostegno a coloro che non invocano bonus per ogni cosa (generosissimi, nelle parole di Panetta), ma premiano i comportamenti virtuosi, che si sostanziano nel fare di più con meno risorse.

Il cittadino italiano non può chiedere allo Stato un sistema educativo efficiente, una buona sanità, una giustizia che funzioni, interventi idrogeologici e al contempo dichiarare 15 mila euro lordi l’anno (che non consentono di arrivare neanche a Pasqua).

Il tax gap, ossia il divario fra imposte e contributi sociali versati e il gettito che si otterrebbe se tutto il dovuto fosse versato, rimane intorno a 100 miliardi.

Con le parole di Matteotti: “Siccome, dai tempi di Mosè in qua né manna né oro cade più dal cielo, così quello – tesoro statale collettivo – non potrà provenire che dalle tasche dei contribuenti”.

Però non dei soliti noti, il ceto medio vessato con aliquote norvegesi (per Matteotti le aliquote del prelievo sul reddito dovevano stare entro certi limiti), ma sperabilmente da coloro che risultano sotto la soglia di povertà pur avendo un tenore di vita notevole.

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