Le restrizioni nell’emergenza sanitaria e i loro riflessi sulle abitudini dei consumatori
Il monito contenuto nell’intervento del Presidente dell’Accademia Nazionale di Agricoltura, Prof. Giorgio Cantelli Forti (https://www.ripartelitalia.it/il-rilancio-economico-della-filiera-agro-alimentare-ecco-qual-e-la-strada-da-seguire/) che, sulla scorta delle criticità determinate dall’evento pandemico del Covid-19 sottolinea l’indifferibile esigenza di avviare “una profonda riflessione sulla globalizzazione, e sulla vergognosa corsa al prezzo più basso senza alcun riferimento alla provenienza delle materie prime e al valore complessivo dell’alimento stesso” è pienamente condivisibile. La pandemia di COVID-19 ha cambiato notevolmente le nostre abitudini facendoci riscoprire una dimensione diversa del vissuto quotidiano e costringendoci, in pochissimo tempo, a riadattare il nostro stile di vita.
Le stringenti difficoltà logistiche, infatti, hanno imposto un cambiamento del modello organizzativo ed una rimodulazione delle priorità che hanno condotto la maggior parte dei consumatori ad acquisire la maggior quantità di generi alimentari possibile, nel minor tempo possibile e nel luogo più prossimo alla propria residenza, con evidente sacrificio per l’attenzione alla qualità degli alimenti e delle loro proprietà nutrizionali.
Costretti a stare in casa avremmo dovuto, invece, cogliere l’occasione per trasformare questa situazione in una nuova opportunità di salute, modificando in meglio le nostre abitudini alimentari e limitando gli eccessi e i comportamenti alimentari errati che possono influire negativamente sulla salute. Non dimentichiamo inoltre di come alcune fake news virulente quanto il SARS-CoV-2 abbiano portato a credere che esista un integratore che possa sostituire una dieta bilanciata o che gli integratori di vitamine proteggano dalla COVID-19, così come da altre malattie. Cibi miracolosi contro il Coronavirus non esistono, è bene ribadirlo!
Non esiste una ricetta alimentare contro le infezioni virali, tanto meno contro il Coronavirus, però una corretta alimentazione e il mantenimento di uno stato nutrizionale ottimale possono aiutare a prevenire e nel caso a superare la malattia. È fuori discussione il ruolo cruciale della nutrizione nella prevenzione e nel coadiuvare il trattamento di svariate patologie, nel contesto di uno stile di vita salutare. Con la pandemia in corso, rifacendosi al famoso aforisma attribuito a Ippocrate “fa che il cibo sia la tua medicina…”, molti si pongono la domanda “Qual è il ruolo della nutrizione in questo scenario? Come sopra riportato, sui più diffusi social media si sono viste spuntare fantasiose teorie sulla capacità preventiva e curativa di alcune diete o cibi specifici, o di integratori di vitamine e minerali (zinco, vitamine C, D, E) in relazione a COVID-19. La maggior parte di queste notizie, che hanno avuto molto credito in vaste fasce della popolazione, sono, a dir poco, non sufficientemente supportate dall’evidenza scientifica, e spesso false.
Nel bimestre caratterizzato dal lockdown, in controtendenza con il crollo generale dei consumi, si è verificato un record della spesa alimentare che fa registrare un balzo del 19% a marzo con una punta del 23% per i supermercati dove è avvenuta quasi la metà degli acquisti. È quanto emerge da un’analisi della Coldiretti su dati Ismea in riferimento al crack nei consumi evidenziato dalla Confcommercio. “L’aumento delle vendite – sottolinea Coldiretti – fa segnare incrementi mensili al dettaglio che vanno del +29% per la carne al +26% per le uova, dal +24% per gli ortaggi al +21% per i salumi, dal +20% per latte e derivati al +14% per la frutta ma crescono del 6% anche gli acquisti di vino e spumanti”. Sugli acquisti al dettaglio si fa sentire l’effetto accaparramento con quasi 4 italiani su 10 (38%) che hanno accumulato scorte in dispensa per paura della quarantena ma anche di trovare gli scaffali vuoti. A spostare i consumi alimentari verso i supermercati è stata anche la chiusura forzata di bar, trattorie e ristoranti con la ristorazione nel suo complesso che acquista ogni anno prodotti alimentari per un valore intorno ai 20 miliardi di euro.
Una situazione che riguarda anche altri Paesi che ha avuto un impatto negativo rilevante sulle esportazioni agroalimentari made in Italy che avevano raggiunto il record di 44,6 miliardi di euro nel 2019. Sotto pressione inoltre è stato il lavoro di oltre tre milioni di italiani ai quali è stato richiesto di continuare ad operare nella filiera alimentare, dalle campagne all’industrie fino ai trasporti, ai negozi e ai supermercati, per garantire continuità alle forniture di cibo e bevande alla popolazione. Una realtà che allargata dai campi agli scaffali – evidenzia Coldiretti – vale 538 miliardi di euro pari al 25% del Pil grazie al lavoro tra gli altri di 740.000 aziende agricole, 70.000 industrie alimentari e 230.000 punti vendita in Italia, tra ipermercati (911) supermercati (21.101), discount alimentari (1.716), minimercati (70.081) e altri negozi (138.000).
Ulteriori criticità si sono manifestate nel contesto del mercato degli ortofrutticoli freschi: sebbene la domanda sia rimasta “forte” durante il periodo di contenimento, il settore ha dovuto affrontare una sfida per quanto riguarda la disponibilità di personale stagionale nella stagione di raccolta nonché la disponibilità di camion e conducenti.
Le proposte per il rilancio del made in Italy
Tra le molteplici eredità che la crisi Coronavirus si lascerà alle spalle, ci sono anche aspetti che potrebbero tradursi in un rafforzamento della filiera del made in Italy. Già la prima parte dell’epidemia, confinata nelle remote regioni cinesi, aveva evidenziato la necessità di una catena di fornitura capace di adeguarsi con rapidità di fronte a eventi estremi, quindi localizzata a distanze gestibili o, comunque, pluri-localizzata, ovvero con elevata intercambiabilità tra i fornitori (o tra le aree di fornitura). Sotto questo profilo sembra auspicabile promuovere ed implementare ulteriormente la pratica del cosiddetto nearshoring efficacemente sperimentata in filiere produttive quali quella dell’automotive (Bonfiglioli, La pandemia dimostra che la globalizzazione ha molti limiti. Per le aziende occorre una nuova via. Ecco quale (https://www.ripartelitalia.it/lapandemia-dimostra-che-la-globalizzazione-ha-molti-limiti-per-le-aziendeoccorre-una-nuova-via-ecco-quale/)e sicuramente foriera di benefici per quella alimentare.
La fase successiva dell’epidemia, che ha bloccato l’intera filiera nazionale, ha attivato un allarme ancor più acuto sulle catene dei prodotti, spostando la riflessione dalle tematiche logistico-geografiche alla questione dell’integrazione tra i diversi soggetti all’interno della supply chain. La crisi economico-finanziaria che si prospetta nei prossimi mesi si rifletterà in notevoli difficoltà di bilancio che per il made in Italy potrebbero rivelarsi fatali.
Da qui il progetto che le imprese del settore attivino forme di collaborazione con i fornitori, attraverso un confronto e un aiuto in termini di gestione, controllo dei costi e assetto economico, per innalzare la solidità di tutte le parti in gioco e garantire al consumatore prodotti sempre più sani e sicuri. Proprio queste ragioni inducono a sottolineare l’indifferibile esigenza di valorizzare lo strumento del contratto di rete al fine di innescare nuovi processi di alleanza e valorizzare quelli già esistenti tra le diverse imprese che operano in una filiera o in una realtà produttiva comune (Balestra, Prodi (intervista esclusiva) a tutto campo: «Serve un vaccino economico. La Germania ha abiurato la dottrina del pareggio di bilancio. Per l’Italia è urgente una riforma fiscale. Io fui il privatizzatore, ma ora è giusto che lo Stato intervenga come un pompiere. Quella volta che incontrai Mittal…», in https://www.ripartelitalia.it/prodi-intervista-esclusivaa-tutto-campo-serve-un-vaccino-economico-la-germania-ha-abiurato-la-dottrina-del-pareggio-di-bilancio-per-litalia-e-urgente-una-riforma-fiscale-io-fui-il/).
Ma l’integrazione non è solo una questione di sopravvivenza nel breve termine. Bensì un aspetto strutturale di lungo periodo. Già la filiera della moda ha evidenziato l’importanza, per i brand, di avere un controllo sempre maggiore, spesso tradottosi in acquisizioni, sui fornitori chiave, per garantirsi il livello qualitativo, una certezza di quantità e tempistiche, una continuità di strategie e standard tecnici. Soprattutto, e anche per l’agroalimentare, l’integrazione di filiera assume rilievo nella prospettiva di un mondo 4.0, in cui si accorceranno le distanze tra monte e valle del prodotto, accumunando tutte le fasi della produzione nella comunicazione verso il cliente finale.
Questo ci potrà garantire prodotti migliori, al miglior prezzo, affinché “riprendiamoci la salute” non sia solo uno slogan, ma assurga ad un vero e proprio nuovo approccio che coniughi la salute del consumatore alla salute dell’economia del nostro Paese. In questa particolare prospettiva un efficiente rilancio dei prodotti made in Italy nel settore agroalimentare sembra poter essere perseguito supportando il processo di integrazione della filiera con un sostegno sistematico volto a promuovere una ” cultura della qualità”.
Un simile obiettivo, invero, presuppone il coinvolgimento di tutti i protagonisti del processo che conduce “dalla fattoria alla tavola”. In altri termini, pertanto, lo sforzo che è chiamato ad attuare il mondo dell’impresa condurrà ad un effettivo risultato solo a condizione che esso si inserisca in una sinergia con una politica di sostegno e di incentivo da parte del legislatore e, non ultimo, con un ruolo propulsivo del mondo del consumo realizzato attraverso la promozione di un’educazione del consumatore dalla quale scaturiscano processi virtuosi di domanda indirizzata verso prodotti di qualità capaci di offrire un elevato livello di tutela della salute.








